C’è tempo ancora fino al 25 giugno per visitare la mostra “Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale” allestita nella Sala Causa del Museo e Real Bosco di Capodimonte, a Napoli, curata da Riccardo Naldi e Andrea Zezza
Quando si parla del Rinascimento è facile associare questo movimento culturale ed artistico alle città del centro e del nord Italia e al resto d’Europa. In realtà, un certo fermento si sviluppò anche nell’Italia meridionale, in un arco temporale che va dal 1503 al 1535 circa, quando venne a mancare l’indipendenza politica a favore del dominio della Corona spagnola. Nel 1503, Gonzalo Fernàndez de Cordoba (1453-1515), il “Gran Capitano”, entrò trionfalmente a Napoli dopo aver sconfitto ripetutamente i francesi, assumendo il titolo di viceré. Nel 1516, con la morte di Ferdinando il Cattolico (1452-1516), il Regno passò al nipote Carlo d’Asburgo (1500-1558), il futuro imperatore Carlo V che, respingendo un ulteriore attacco francese condotto nel 1528, rese stabile il dominio iberico, destinato a durare per due secoli. Negli stessi anni, nel Meridione d’Italia si diffuse quella che Giorgio Vasari (1511-1574) definì la “maniera moderna”, la grande arte fondata dalla rivoluzione compiuta da Leonardo da Vinci (1452-1519), Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e Raffaello Sanzio (1483-1520). Si aprì una stagione molto fervida, in cui convissero e collaborarono artisti locali e stranieri, soprattutto spagnoli. All’epoca, la città di Napoli era la più popolosa d’Italia, e il suo Regno, era pari a un terzo della Penisola.
>>> Questo fermento culturale attivo nel sud Italia nel 1500 trovano una corrispondenza visiva ed emotiva nella mostra dal titolo Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale, allestita nella Sala Causa del Museo e Real Bosco di Capodimonte, a Napoli, curata da Riccardo Naldi e Andrea Zezza, fino al 25 giugno 2023.
Agli inizi del Cinquecento, nella corte dei re d’Aragona si era sviluppata una sofisticata cultura umanistica fondata sull’eredità prestigiosa degli antichi che influenzò la civiltà europea, proponendo una nuova funzione per gli intellettuali laici, svincolati dalla Chiesa e dediti, all’ombra del re, alla riflessione politica, sociale, giuridica ed artistica, oltre che alla comunicazione delle ragioni del sovrano e alla costruzione di un apparato sociale.
Ad accogliere i visitatori nel percorso espositivo è la grande tavola Adorazione dei Magi del pittore Marco Cardisco (1486-1542), documentato a Napoli dal 1520 al 1542. Al lusso dei Magi in primo piano fa da sfondo un paesaggio di impronta naturalistica. Nei volti dei reali è possibile riconoscere sulla destra il volto di un giovane Carlo V e, sulla sinistra, due sovrani di casa d’Aragona. Il dipinto intende dare una immagine di pacificata continuità fra diverse dinastie: aragonese, spagnola e asburgica.
Con il passaggio alla Corona spagnola, Napoli divenne un avamposto per la diffusione dei costumi iberici da una parte, e, dall’altro, una testa di ponte per la diffusione del Rinascimento in Spagna. Il viaggio di Ferdinando il Cattolico in terra partenopea favorì la realizzazione di dipinti caratterizzati da architetture effimere che ne celebrano il trionfo alla maniera degli antichi imperatori. Ne è un esempio l’Adorazione del Bambino, del Maestro del Retablo di Bolea, attivo a Napoli tra l’ultimo decennio del XV secolo e il primo del XVI. L’opera fu commissionata dal duca d’Atri Andrea Matteo III Acquaviva (1458-1529), filofrancese, ferito in battaglia, rimase prigioniero degli spagnoli fino al 1506. Una volta liberato, rese omaggio al re Ferdinando il Cattolico. Fu allora che probabilmente commissionò il dipinto.
VERSO LA “MANIERA MODERNA”
Tra il Quattrocento e il Cinquecento le arti in Italia vissero un momento di epocale trasformazione. Artisti come Leonardo e Giorgione (1478-1510) segnarono una frattura con il passato: la rappresentazione della natura raggiunse una efficacia nuova e le figure erano intrise di sentimenti, vitalità e movimento. Michelangelo e Raffaello imposero un modello idealizzato di bellezza capace di far rivivere l’arte degli antichi, fino ad allora ritenuto un modello inarrivabile. E’ lo stile che Vasari definì la “maniera moderna”, la raggiunta perfezione dell’età a lui contemporanea. I luoghi di incubazione di questo nuovo stile furono Firenze, Milano, Venezia e Roma. A portarlo a Napoli fu lo scultore fiorentino Andrea Ferrucci (1465-1526), il pittore lombardo Cesare da Sesto (1477-1523) e gli artisti spagnoli.
Il pittore Pedro Fernandez (1480-1521) è documentato a Napoli dal 1510 al 1519. La sua Sacra Famiglia, visibile in mostra, colloca l’opera tra quelle eseguite in Lombardia, e quelle più mature a Napoli. Il riferimento epigrafico a papa Giulio II, stimolato da uno studio diretto dell’Antico, permette di registrare un transito dell’artista a Roma, prima di arrivare al sud. Prettamente napoletano è il Polittico della Visitazione, dove i pannelli provengono dal polittico per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, oggi smembrato. La cimasa fa parte di una collezione privata, il San Giovanni Battista, invece, è quanto rimane del registro principale. Il porticato prospettico a due piani deriva da modelli lombardi ed è popolato da personaggi caratterizzati alla maniera di Leonardo e di Bramantino (1456-1530).
Andrea Ferrucci e Pedro Fernandez furono i due grandi innovatori della Napoli di inizio secolo. Le sculture San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista del Ferrucci si muovono liberamente nello spazio e sono di grande originalità nella rappresentazione funeraria del tempo. La ricerca inquieta di torsioni, avvitamenti e pose dinamiche dovettero essere di esempio per artisti come Bartolomé Ordóñez (1490-1520) e Andrea da Salerno (1487-1530), presente quest’ultimo in sala con il dipinto l’Adorazione dei Magi, dove abbandona lo stile timidamente pinturicchiesco per abbracciare le novità della moderna pittura leonardesca e raffaellesca. Inizialmente attribuita ad Andrea da Salerno, l’Adorazione del Bambino e committente, è stata attrbuita a Cesare da Sesto, allievo di Leonardo in Lombardia e avvicinatosi a Raffaello. Alcuni passaggi sul dipinto non appaiono all’altezza: il Bambino e i due animali hanno una minore intensità naturalistica e portano a supporre una una partecipazione di un collaboratore.
INTORNO A RAFFAELLO.
Gli anni tra il 1509 e il 1522 del vicerè Ramon Folch de Cardona (1467-1522) furono ricordati fra i più felici della storia di Napoli. Proprio in questo periodo venne realizzato un dipinto, visibile in mostra, che divenne un punto di riferimento fondamentale per gli artisti attivi nella città partenopea, la Madonna del pesce di Raffaello Sanzio, destinato alla cappella della famiglia del Doce in San Domenico Maggiore e, successivamente, asportata dai governanti spagnoli e trasferita a Madrid intorno alla metà del Seicento. Osservando attentamente la tela, i personaggi raffigurati acquistano una dimensione eroica ed esemplare, e sviluppano attraverso gli sguardi e i gesti, un complesso sistema di rapporti psicologici, come attori in una azione drammatica.
Fonte di ispirazione per la figura panneggiata seduta e la tipologia del trono di quest’opera di Raffaello è la Figura virile in trono (Giove Ciampolini), una scultura in marmo del II-III secolo a.C. collocata di fronte alla Madonna del pesce. Questa comparazione consente di cogliere con immediatezza visiva, come i risultati più maturi della “maniera moderna” ebbero a fondamento il confronto con l’arte degli antichi e come i modelli pagani furono rielaborati per creare un nuovo classicismo cristiano.
Una delle opere più significative che si ispirano al dipinto raffaellesco è il San Bertario in trono fra i suoi confratelli e santi martiri con il committente Ignazio Squarcialupi, di Andrea da Salerno, dove è evidente l’assimilazione del linguaggio delle Stanze Vaticane, che fa proprie le medesime dolcezze sentimentali e atmosferiche del Sanzio.
Su questa scia, un altro artista famoso per i suoi affreschi che sembravano far rivivere i fasti della scultura antica, simulando dei bassorilievi di marmo o di bronzo, è Polidoro da Caravaggio (1492-1543). Nel Trasporto di Cristo al sepolcro, egli adotta una gamma cromatica accesa, dotando le figure delle stesse passioni eroiche o tragiche che caratterizzavano i suoi personaggi all’antica. Le tavole superstiti Angelo annunciante, Vergine annunciata, San Pietro e Sant’Andrea, del polittico per la chiesa della congrega dei pescivendoli mostrano le straordinarie capacità inventive ed esecutive del Polidoro: alla delicata atmosfera dell’Annunciazione monocroma, dei tondi sofisticati e preziosi come cammei, fa riscontro l’eroica monumentalità dei santi che invitavano ad adorare la Vergine della tavola centrale.
Fra gli artisti spagnoli che si ispirarono direttamente alla Madonna del pesce di Raffaello, rinunciando alla sua austera serenità a favore di un andamento animato, è la Madonna del latte di Pedro Machuca (1490-1550). In quest’opera anche l’iconografia è modificata, con l’introduzione del gesto di Maria che stringe il seno, su cui Gesù pone una mano per far uscire il latte, simbolo della Grazia. Bartolomé Ordóñez, invece, nella sua scultura San Matteo e l’angelo, presenta un gruppo in cui emerge un intreccio dinamico dei due corpi che ricordano i celebri modelli di Donatello (1386-1466) e di Michelangelo, mentre il panneggio ampio e corposo, il classicismo dei volti e delle capigliature è memore delle opere di Raffaello. A chiudere la prima parte del percorso espositivo degli artisti iberici operativi a Napoli, è la Figura femminile semigiacente (Caterina Pignatelli) di Diego de Siloe (1495-1563), dove la statua, insieme ad altre raggruppate sotto il nome di “Maestro della Cappella Pignatelli”, mostra gli esordi dell’artista nella città partenopea. Spicca una forte ispirazione antiquaria e romana, in contatto con le eleganti grafie di Andrea Sansovino (1467-1529) e una forte influenza della cultura raffaellesca.
“LE AQUILE DEL RINASCIMENTO SPAGNOLO”
L’ultima parte della mostra è dedicata al ritorno in patria degli artisti spagnoli, dove si prodigarono per la diffusione del Rinascimento. Bartolomé Ordóñez lavorò soprattutto a Barcellona, Diego de Siloe visse tra Burgos e Granada, infondendo alle sculture e alle architetture verità di sentimento e grandiosità di impianto. Pedro Machuca fu il massimo alfiere del suo maestro Raffaello, cogliendone la genialità inventiva sia in pittura, sia in architettura. Sollecitato da una sfrenata passione per Michelangelo, Alonso Berruguete (1490-1561) si distinse per un tocco di forzatura espressiva, visionaria, che pone le sue opere fra le maggiori del Cinquecento europeo. In Aragona, emerse con forza Gabriel Joly (1538-?), intagliatore originario della Piccardia, in Francia. Proprio di quest’ultimo è il busto Guerriero (?) caratterizzato dalla materia lasciata pura, priva di policromia. Della stessa caratura è la Sacra Famiglia con San Giovannino, dove mostra di aver avuto un intenso rapporto con i modelli della “maniera moderna” italiana. L’artista è debitore della stessa raffinatezza formale di Siloe e di aver assimilato la lezione di Raffaello e le espressioni creative di Donatello. Di Alonso Berruguete, invece, è visibile la Deposizione di Cristo nel sepolcro, dove reinterpreta le fonti classiche, rileggendo in modo audace i modelli e creando un linguaggio molto personale e pieno di carattere. Tutto ciò che si apprezza in questa tavola, è la rapida caratterizzazione delle figure che lega l’artista a Pedro Machuca, ma anche alla produzione napoletana di Polidoro da Caravaggio.
Gli Spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale
Museo e Real Bosco di Capodimonte,
Sala Causa – Napoli
13 marzo – 25 giugno 2023