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Ripetizione, intervallo, oggetto. Franco Vimercati alla GNAM

Franco Vimercati, Senza titolo (Bottiglie di acqua minerale), 1975, Courtesy Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati
Franco Vimercati, Senza titolo (Bottiglie di acqua minerale), 1975, Courtesy Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati
Franco Vimercati, Senza titolo (Bottiglie di acqua minerale), 1975, Courtesy Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati

Alla Galleria Nazionale di Roma la mostra fotografica di Franco Vimercati, dove gli oggetti d’uso quotidiano diventano strumento per una indagine fenomenologica

Esiste un’intuizione che scatta nell’umano dalla lenta contemplazione di ciò che appare banale. Una zuppiera, un cartone del latte, una piastrella logora, una caffettiera, un opaco bicchiere di vetro, una brocca d’argento. Oggetti d’uso comune che tuttavia, inviluppati come ogni cosa nelle cadenzate dinamiche spazio temporali, partecipano di minuscoli mutamenti epifanici. È questo il messaggio che sembra lanciare la mostra The World in a Grain of Sand (Il mondo in un granello di sabbia), una raccolta di oltre cento fotografie di Franco Vimercati (Milano 1940 – 2001), allestita in alcune sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, a cura di Susan Bright.

L’iter espositivo, minimale, fruibile fino al 10 agosto 2023, esorta all’indugio e all’osservazione dettagliata di numerose sequenze d’immagine. Interessa a Vimercati l’operazione classificatoria dalla quale emerge il prezioso potenziale del materico quotidiano. Secondo una logica che va contro l’idea della natura morta e incontro alla concretezza di una fenomenologia non pretenziosa. Non esistenzialista, quanto piuttosto quietamente materialista. “Il vero contenuto del mio lavoro è la ripetizione” scriveva Vimercati in un appunto del 6 agosto 1981. Circa otto anni dopo l’inizio del suo sodalizio con il medium fotografico, a seguito di una carriera iniziata come pittore all’Accademia di Brera.

Aprire gli occhi

La ripetizione ostinata, cattiva o assente, malinconica o violenta, ma solo e sempre ripetizione”. Spicca dai suoi scatti un’affinità con Francis Ponge e in particolare con la sua raccolta poetica Il partito preso delle cose. Spicca, nelle sue parole, “il non voler dare spettacolo, il non essere accomodante, grazioso, ragionevole. Il non voler proporre quesiti ‘intelligenti’ o raffinati esercizi di stile. Cerco di essere il più semplice possibile – sottolineava il fotografo – perché la protesta sia il più efficace possibile. Deve essere secca e penetrante come un chiodo scuro, senza dispersioni di alcun genere”.

 

Franco Vimercati, Senza titolo (Zuppiera), 1991, Stampa ai sali d’argento, Courtesy Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati
Franco Vimercati, Senza titolo (Zuppiera), 1991, Stampa ai sali d’argento, Courtesy Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano © Eredi Franco Vimercati

Messo di fronte alle cose il fruitore sperimenta la situazione dimenticata del trovarsi implicato in una comunicazione sfuggente, che lo espone ad una richiesta analitica, senza l’urgenza di una risposta, né di un esatto deciframento. Ogni scatto richiede di aprire gli occhi e di vedere le cose nella loro superficie netta e nell’iterazione costante e mai uguale dell’immagine. L’oggetto si fa objet-jeu, o per meglio dire, objeu (gioco-oggetto). E il gioco è questo: negli intervalli tra una fotografia e la successiva c’è la messa in questione di ogni fissità. C’è un pendolo che oscilla tra estraneità radicale e intimità, di cui seguire il moto.

Volumi ed ombre

L’elemento, decontestualizzato e reso totemico nel buio di fondo, è di continuo ritratto soggettivo della sensibilità dell’artista e insieme dispositivo oggettivato, anti-sacrale e tuttavia traversato da una face veneranda. L’oggetto è de-funzionalizzato e ri-funzionalizzato. Le bottiglie di acqua Levissima diventano strumenti di cui captare volumi ed ombre. La sveglia, ritratta in tredici pose, è un piccolo reportage di ciò che accade in un minuto.

Nel meticoloso studio dello straordinario nell’ordinario – la crepa nella ceramica, l’assemblage delle zollette di zucchero nel barattolo, il riflesso e il bagliore dei cristalli – Vimercati asseconda il motto oraziano: il notum muta in novum senza soluzione di continuità. Il dettaglio imprevisto insorge dall’angolazione scelta, dalla prospettiva non scartata. E la trasfigurazione ultima dell’oggetto si esprime in acmè nelle sue Capovolte (1995-1997). Una serie fotografica realizzata con una macchina a lastre di grandi dimensioni, con un obiettivo che diventa strumento ottico di magia: gli oggetti si rovesciano specularmente e si offrono alla vista sottosopra.

La teoria di foto è arricchita da un documentario sull’artista ideato da Elio Grazioli e diretto da Dario Bellini e due teche con libri d’arte e carte di Vimercati. Mentre un luminoso corridoio ospita entro teche lucenti gli oggetti da lui fotografati, permettendo al pubblico di produrre nuovi ritratti, in una gara ideale con il fotografo.

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