Dalla svizzera e dall’Olanda arrivano notizie che rimarcano quanto l’Italia sia lontana da sistemi dell’arte virtuosi e propositivi
Nei mesi scorsi si è molto dibattuto attorno alle ultime uscite di Achille Bonito Oliva su Robinson di Repubblica. Sulle sua affermazioni secondo le quali “senza un sistema composto da media, collezionisti, mercato, musei, pubblico, le opere in sé non avrebbero valore”. E diverse altre amenità. Dunque in Italia, secondo il guru della Transavanguardia, sarebbe il “sistema” a tirare le fila delle dinamiche artistiche. Un sistema del quale lui, ovviamente, è l’aristotelico “motore immobile”. Più immobile che motore, da troppi anni, purtroppo. Già, perché anche prendendo per buono l’assunto oliviano, ci tocca ogni giorno constatare che fra i diversi sistemi il nostro fa acqua da tutte le parti.
A farcelo drammaticamente notare, arrivano quotidianamente notizie che ci sbattono in faccia l’inconsistenza del nostro rispetto ad altri “sistemi”. Esempio di questi giorni. In Svizzera è stato appena assegnato il Roswitha Haftmann Prize, premio intitolato al defunto mercante Roswitha Haftmann e gestito dalla Kunsthaus Zürich. E il fortunatissimo vincitore, l’artista brasiliano Cildo Meireles, si è portato a casa la bellezza di 150mila franchi svizzeri (oltre 155mila euro).
Un’altra “lezione” arriva dall’Olanda, dove il Nederlands Fotomuseum di Rotterdam si è trovato in difficoltà per l’aumento dell’affitto della sua sede. Nessun problema: l’organizzazione filantropica Droom en Daad ha donato al museo 38 milioni di euro per una nuova sede, che sarà aperta nel settembre del 2025. Casi singoli, che non fanno la storia? Sicuramente, vanno analizzati i contesti, è qualunquista generalizzare. Ma a qualcuno viene in mente qualcosa che in Italia anche solo si avvicini a queste realtà?