Print Friendly and PDF

I cinque peccati capitali dell’arte contemporanea

Marcel Duchamp Marcel Duchamp
Marcel Duchamp
Marcel Duchamp

L’artista Gaetano Grillo riprende la riflessione sul fallimento delle Avanguardie avviata ieri da Bruno Ceccobelli

Da alcuni anni ormai, e decisamente dal periodo del covid, mi trovo spesso a condividere le riflessioni dell’amico Bruno Ceccobelli. Un artista, come pochi, dotato anche di raffinata dialettica e di sano coraggio della verità. Anche quando quest’ultima va a scomodare ambienti consacrati al potere del nostro pur piccolo sistema dell’arte. Certo che, se è un sistema, risponde a delle regole, non palesi, forse neanche occulte, ma intuite e condivise. Io ho conosciuto il pre-sistema, che si chiamava semplicemente “mondo dell’arte”, una sorta di comunità all’interno della quale ci si riconosceva in quanto parti di esso. Ma non necessariamente allineati teoricamente e soprattutto meno oppressi da giochi di potere.

Ceccobelli analizza con lucidità i fallimenti del secolo scorso e delle avanguardie artistiche. Analisi che io condivido pienamente, ma vorrei focalizzare le cause, ovvero alcuni cortocircuiti che a mio parere hanno minato il paradigma stesso dell’arte. Provocando quella frammentazione del “corpus universalis” che oggi produce disagio e smarrimento, sensazioni che molti di noi avvertono ma delle quali non si parla per il timore di precludersi rapporti, alleanze, interessi.

• Il primo cortocircuito lo individuo nell’equivoco di pensare all’arte come ad un processo evolutivo a senso unico.
• Il secondo cortocircuito credo che sia l’errore di pensare all’arte strettamente legata al tempo, quindi al suo presente, quindi sottomessa ad una perdita progressiva di memoria.
• Il terzo cortocircuito credo che coincida con l’affermazione che la sola idea possa bastare per fare arte.
• Il quarto sta nella discesa dell’arte dai monti verso la pianura del consenso, che vuol dire ambire al successo e al denaro.
• Il quinto cortocircuito sta nella estrema centralità della comunicazione che spesso si riduce alla banalizzazione dei contenuti.

 

Damien Hirst: ’Natural History’, installation view, 2022
Damien Hirst, Natural History, installation view, 2022

1 – Ho sempre pensato all’arte come ad un’esperienza umana capace di esprimere valori non necessariamente legati a dinamiche evoluzionistiche e sociali ma a dinamiche filosofiche, capaci di includere, metabolizzare e confessare anche ripensamenti, dubbi, fallimenti, critiche. Arte non intesa solo come esercizio intellettuale ma anche come espressione di sentimenti, capace di trovare la bellezza nella forma pura ma anche nel caos e nella materia.

2 – Il novecento ha conclamato una sorta di dogma che si traduce nella stretta rispondenza al proprio tempo, ad un’arte che esprime il presente e spesso solo la cronaca. Nel secolo scorso il termine “attualità” è stato consacrato come valore centrale fino a diventare spesso la sola chiave di interesse. Al contempo tutto ciò che poteva riguardare riflessioni sul passato veniva immediatamente bollato come “reazionario”. Lo stesso termine “antico” assumeva un significato dispregiativo ed un ostacolo alla spinta in avanti, considerata unica spinta possibile. Così pian piano l’umanità si è protesa verso il presente allontanandosi dalla storia e dalla memoria senza trarne più insegnamento e avviandosi verso quel processo di regressione culturale che è sotto i nostri occhi.

3 – La provocazione duchampiana è stata eletta a verità, quindi a paradosso e ossimoro. L’eccezione è diventata la regola. La “regola accademica” è stata assassinata ma allo stesso tempo sostituita dall’anti-regola che è pertanto un’altra regola. Solo un gioco di sostituzione ma al ribasso, poiché la regola accademica è sorretta dalla conoscenza mentre la provocazione è sberleffo, improvvisazione. Fatto sta che da Duchamp ad oggi abbiamo visto svariate generazioni di figli, nipoti e pronipoti di Marcel, accomunati in ogni caso da una scelta molto più comoda: transitare dalle scorciatoie dei concetti, spesso concettini, per andare verso affermazioni che oggi mostrano tutta la loro fragilità sia in termini di pensiero che di linguaggio.

 

Andy Warhol, Self-Portrait (Fright Wig)

4 – L’arte come esperienza totale, come esperienza del profondo, l’arte come pratica incorruttibile e come dimensione idealistica, si piega e si spiega con il suo inchino al richiamo adescante del riconoscimento attraverso il consenso. Quanto più risponde al gusto del tempo, tanto più è considerata. Ecco dove nasce lo spasmodico e abusato termine “contemporanea”. Il sistema dell’arte insiste sui concetti di attualità e novità tout court, schiacciato sull’orizzontalità liquida del presente smemorato. Nella mia lunga esperienza di docente di pittura nelle accademie ho visto evaporare progressivamente ma incessantemente l’interesse per la storia; intere generazioni sono state sedotte dal richiamo delle mode e appiattite dalla pressione esercitata dall’estetica. La stessa sostituzione della parola Arte con la parola Arti Visive è il sintomo di un decadimento ideale sostituito da un compromesso con il reale. Il mito del successo ha sostituito la forza della vocazione e del rigore, il richiamo del denaro ha inquinato le coscienze a tal punto che i valori sono stati sostituiti dai prezzi. Il sistema dell’arte (contemporanea) è sedotto dai record delle aste, un’opera vale se costa molto, altrimenti non esiste. Ecco che anche una delle tante trovate imbecilli di Damien Hirst viene osannata così come viene ignorato tutto ciò che non ha successo e visibilità.

5 – Il quinto cortocircuito scaturisce dal vuoto, ovvero dall’assenza dell’esperienza del profondo. Un vuoto che viene sistematicamente colmato dalla iper-comunicazione; l’ultimo vuoto inteso come contenuto è stato forse quello di Andy Warhol. Dopo di lui l’assenza è stata sostituita dalla ossessiva presenza e di conseguenza dalla spasmodica necessità di comunicare, di spiegare, di abusare delle parole, di sedurre attraverso la comunicazione. Molti attori del sistema dell’arte sono diventati manager della comunicazione, basti pensare alla recente vicenda dell’incendio della venere degli stracci di Pistoletto; quando ho avuto la notizia ho subito sospettato che fosse stata una trovata geniale da parte di Michelangelo, esperto affabulatore capace di sfruttare al massimo i suoi concetti. La malattia dell’arte si è aggravata negli ultimi decenni conducendo ad una sorta di assuefazione allo status quo, va bene tutto e il contrario di tutto, ergo, va bene nulla! Navighiamo nelle acque inquinate del presente senza più avere quelle pulsioni morali che storicamente sono necessarie per reagire, l’appiattimento è totale. Totale al punto che neanche la drammatica esperienza del covid ha cambiato le nostre vite, tutto è ricominciato come prima e più di prima. Totale al punto che neanche l’evidentissimo cambiamento climatico con effetti devastanti sul pianeta, riesce ad invertire il nostro stile di vita. Siamo tutti impassibili e incapaci di reagire, siamo tutti obnubilati dall’effetto gommoso e assorbente delle sabbie mobili della società dei consumi e piano piano ci sentiamo sprofondare nel fango della contemporaneità.

 

Marcel Duchamp, Fontana

Commenta con Facebook