Dopo anni, se non secoli, di arroganza e misfatti, il British Museum di Londra potrebbe essere costretto a un deciso cambio di rotta dopo gli scandali che l’hanno travolto.
Si potrebbe dire che da un giorno all’altro il British Museum sia diventata una polveriera. Opere sottratte al Museo e rivendute dal proprio senior curator Peter Higgs su eBay; le dimissioni (forse tardive?) del direttore Hartwig Fischer; la Grecia che, accusando il museo di scarsa credibilità, torna alla carica per recuperare i pezzi del Partenone. Ma in realtà le fragilità dell’istituzione partono da lontano, la sua integrità si è gradualmente crepata e ora scricchiola sotto i venti della polemica.
Non si è infatti lasciata attendere la voce che dalla Grecia, da anni, sempre più insistentemente, chiede al British di restituire i fregi del Partenone. Il museo britannico ha sempre fatto orecchie da mercante in tal senso, negando contro ogni evidenza l’assurdità della questione e non compiendo alcun passo – né simbolico né tantomeno concreto – per riconsegnare le sculture, rimosse dal tempio dell’Acropoli di Atene nel 1816 dai rappresentanti del nobile scozzese Lord Elgin, allora ambasciatore presso la corte ottomana.
Oltre alle legittima proprietà delle opere – con quale coraggio, se non la baldanza imperialista, il Regno Unito espone con orgoglio i frutti di un saccheggio ad una nazione vicina? – ora la Grecia – ma anche la Cina, la Nigeria e il Benin – ha nuovi strumenti con cui far valere le proprie ragioni. Il furto di quasi 2.000 pezzi da parte di un dipendente, che li ha poi rivenduti su eBay arricchendosi, ha aperto dubbi giganteschi sul sistema di sicurezza del British Museum. E soprattutto sulla sua credibilità.
Pare infatti che molti dei manufatti sottratti non fossero catalogati, ragione per cui a lungo non ci si è accorti del furto. Anche se, a ben guardare, il commerciante di antichità olandese Ittai Gradel nel febbraio 2021 ha allertato il museo dopo aver individuato oggetti della sua collezione proposti su eBay. Allarme sottovalutato, se non ignorato, e furti proseguiti per altri due anni. Legittimo chiedersi, a questo punto, se non ci fosse la complicità del direttore Hartwig Fischer, appena dimessosi. Ma, ancora peggio, la mancata catalogazione dei beni li rende ora più difficili da rintracciare, per il semplice fatto che il British Museum non ha nemmeno idea di cosa gli abbiano sottratto.
Così il presidente del British Museum George Osborne si trova a sperare, per parole sue, nella collaborazione dei mercanti d’arte e dei collezionisti di buon cuore, invitandoli a riconsegnare gli oggetti. Ma, aldilà del paradosso di chiedere a un venditore o a un acquirente di merce rubata di restituirla, questi potrebbero benissimo non sapere nemmeno che si tratta di opere del British, dal momento che nemmeno il British ha idea di cosa stia esattamente cercando.
In ogni caso, a quanto pare, alcune di queste sarebbero già state individuate, anche se non si sa esattamente cosa. Ormai, come starete pensando tutti, il giudizio finisce immediatamente per sospendersi in favore di un legittimo dubbio: e se non fosse così? E se il British Museum stesse continuando a prenderci in giro?
Aldilà di questa ultima questione, di cui potremmo avere la risposta a breve, è la reputazione dell’istituzione a navigare in cattive acque. Acque dove stanno giustamente provando a nuotare i creditori del Museo. La Grecia, che per anni si è sentita negare la restituzione dei fregi a causa di una presunta inaffidabilità conservativa dei propri musei, ora ribalta l’accusa contro il British stesso. Il quale, ormai impossibilitato ad uscire dal ruolo di colosso arrogante, biasima il comportamento della Grecia giudicandolo opportunista. Un pulpito da cui la predica, proprio, non si può ascoltare.
Che non sia forse giunto il momento per il British di cambiare rotta, magari ripulendo completamente la sua immagine? Potrebbe essere l’occasione per rinfrancare la propria identità, mettendo fortemente mano alla collezione – composta da molti, troppi oggetti dalla provenienza sospetta – e dando spazio per davvero all’arte e ai manufatti britannici, al momento poco rappresentati in esposizione. E soprattutto restituendo ai Paesi a cui appartengono le tante opere impropriamente sottratte.