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Elogiamo la caduta perchè cadere fa bene, ce lo insegna il Festival del Mediterraneo

La musica, portatrice di armonia, vista come antidoto alle guerre. E per guerre non si intendono solo quelle che dividono i popoli del mondo, ma anche quelle lotte quotidiane che rendono più difficile il nostro coesistere in pace. È questo il messaggio di Make Music not War, tema della 32esima edizione del Festival del Mediterraneo, in programma a Genova dal 1° settembre al 21 ottobre, diretto da Davide Ferrari (anche presidente dell’Associazione Echo Art, organizzatrice dell’evento)

Un Festival che ha il sostegno di Regione Liguria, Comune di Genova e Fondazione Compagnia di San Paolo; con il contributo di Coop, Tasco Srl, Camera di Commercio e che vanta la collaborazione con il Museo delle Culture del Mondo, il Museo d’arte orientale E. Chiossone, il Museo Diocesano, che offrono i loro meravigliosi spazi per le performance a programma.

Il Museo Diocesiano è stato infatti il luogo dove si è svolto lo spettacolo inaugurale “Elogio della caduta”. Incastonato tra la Cattedrale e il vicino Palazzo Ducale, nel cuore della città antica, il Chiostro di San Lorenzo con il museo all’interno, è un vero gioiello di opere d’arte. In questo caso, con la sua coinvolgente scenografia naturale, ha fatto da palcoscenico ad una performance che ha fuso insieme scrittura scenica, spartito musicale e danza, partendo dal concetto di cosa si voglia intendere per cadere. A spiegarlo è stato Nicola Bucci, artista contemporaneo, filosofo ed insegnante, “anima anfibia”, come ama definirsi lui stesso, persona che ne sa tanto di filosofia, di arte, ma soprattutto di vita. Attraverso le sue parole un po’ biascicate, tenute in bocca masticandole lentamente, Bucci ci ha raccontato di Aristotele, del casus latino, della causalità che “casualmente” condiziona la vita, leggendo i suoi fogli disordinati mentre i ballerini gli sfrecciavano vicino.

Nicola Bucci

La danza della compagnia DEOS (Danse Ensemble Opera Studio), abilmente guidata da Giovanni Di Cicco, fluida più che mai, attraverso i corpi dei sei danzatori (Luca Alberti, Filippo Bandiera, Emanuela Bonora, Roberta Piazza, Giulio Venturini, Aaron Weber) mima i concetti e questi si mettono improvvisamente a danzare. Sì perchè ogni parola ha un gesto e ogni gesto rimanda ad una parola. Dove cadere non è letto in senso negativo, anzi! Cadere per essere spinti verso l’alto, cadere consapevolmente come succede nell’amore che ci fa precipitare in abissi sconociuti che lasciano sospesi in aria con uccelli con le ali in stallo. Cadere perchè accade e non ci si può far nulla se non lasciarsi trascinare.

I ballerini corrono da una parte all’altra del bellissimo chiostro, entrano ed escono freneticamente nel colonnato, corridoio di un passato che ritorna. Si inseguono per acchiapparsi e poi lasciarsi in un gioco di luci, di gioia e di amore che contagia il pubblico. Il racconto porta a riflettere sul piacere dell’arrendersi, lo dice anche la poliedrica attrice e cantante bergamasca Miriam Gotti, autrice di numerosi progetti di teatro e musica, formatrice e sperimentatrice di tecniche vocali che qui, con svariati strumenti etnici ed una voce che è “poetica armonia”, non è solo la colonna sonora della danza, ma parte fondamentale dello spettacolo. Il fil rouge su cui scorre il tutto come un fresco ruscello di montagna, rigenerante. Il gong di Friedrich Glorian, musicista polistrumentista tedesco con formazione ed esperienza sulla musica indiana, meditativa, sperimentale e world, con i suoi complessi schemi di frequenza del suono, che entrano in risonanza con la frequenza sonora caratteristica di ogni singolo chakra. Ed ecco che i centri energetici del nostro corpo vibrano in quella risonanza per loro ottimale. Insomma, pura magia.

Lo spettacolo si chiude col tango. Un danzatore solo, Luca Alberti, in mezzo al chiostro, mentre sappiamo tutti che questo ballo è soprattutto sintonia tra due corpi che si uniscono, ma qui non c’è bisogno dell’altro. Il danzatore dà sfogo alla propria fantasia, la coltiva, la guida.  Se bobbiamo pensare a un’altra presenza, questa è il pubblico che lo guarda incantato, attratto dalle ripetitività di quei movimenti di gambe e braccia che avvolgono, rapiscono, fanno felicemente cadere.

Il 7 settembre alle 20.30, sempre nel chiostro del Museo Diocesano, sarà protagonista il femminile con Ensemble Chakam: tre musiciste, giunte da Iran, Palestina e Francia, che propongono il frutto della loro unione artistica, nata nel 2014 da un’idea di Sogol Mirzaei, un progetto che ingloba tradizioni diverse raccolte per il mondo.

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