Non era mai accaduto, accadrà nel 2024: il colosso fieristico Frieze – che ogni anno fa tappa a Londra, New York, Los Angeles e Seoul – sponsorizzerà il padiglione britannico alla 60a Biennale di Venezia (20 aprile-24 novembre 2024).
Una notizia che forse passerà in sordina, catalogata come passaggio inevitabile in un mondo (dell’arte e non solo) dove abbiamo visto di tutto e nulla più ci stupisce. Oppure sarà una notizia che un campanello d’allarme l’accenderà: un ente fieristico, con interessi privati e ramificati, mette un piede in uno dei progetti culturali pubblici più importanti del calendario. Ma a guardar bene forse non è che un sintomo, l’ennesimo, di un sistema da sempre in equilibrio precario, costantemente costretto a cercare nuova linfa per alimentarsi.
Ma veniamo al dato di fatto: Frieze – conosciuta in tutto il mondo come organizzatrice di fiere, ma ha anche una rivista molto letta – ha stretto una partnership a cinque cifre con la Gran Bretagna per la realizzazione del padiglione nazionale alla Biennale di Venezia 2024. Un intervento privato inedito, che va a sommarsi al sostegno pubblico fornito dalla British Council Commission e da altri sponsor privati (tra cui Burberry).
Una necessità che si è resa “essenziale” a causa della “visione ambiziosa” del padiglione di John Akomfrah, che ha richiesto “un maggiore sostegno da parte di sponsor e mecenati per realizzare l’intera portata del suo incarico“, ha affermato il direttore dello sviluppo del British Council, Andrew McGlynn. Dunque il British Council continuerà a investire nel padiglione britannico lo stesso investimento del 2022, che peraltro ha portato Sonia Boyce ha vincere il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale con la mostra Feeling Her Way. Ad esso si aggiungerà poi la sponsorizzazione di Frieze, il cui importo non è però stato diffuso.
Forse il timore è che critici e pubblico possano tradurre, in modo più o meno preciso, il valore dell’investimento in un ritorno economico che Frieze di certo si aspetta, almeno in termini d’influenza. Del resto, non possiamo nemmeno fingere che la Biennale sia sempre stata impermeabile alle dinamiche del mercato. É evidente, per esempio, che molte gallerie puntino sugli artisti che sono esposti alla Biennale, o lavorino per portare un loro artista ad esporre in Biennale, con relativo innalzamento del valore e dei guadagni presenti e futuri.
Da un certo punto di vista, se vogliamo, è anche un segno positivo, sintomo dell’importanza che l’evento riveste. Se da una parte possiamo temere l’ingerenza del mercato, dall’altra non è affatto male che esso debba relazionarsi con una manifestazione (nelle intenzioni) puramente culturale. Con esiti più o meno virtuosi, la doppia spinta può essere anche feconda, oltre che necessaria all’andamento delle attività.
Meno chiare, invece, le dinamiche e il ritorno che una fiera possa avere da questa collaborazione. Se il fine è di certo economico, le modalità appaiono forse più indirette e sottili di quelle operate dalle gallerie. In una nota si legge infatti del desiderio di Frieze di “approfondire la sua posizione all’interno di questo ecosistema“, offrendo un supporto al padiglione britannico attraverso “contenuti dedicati al padiglione e amplificazione tramite i canali social di Frieze“.
Una partnership che dunque dovrebbe riguardare più che altro le attività di marketing e di programmi pubblici, mentre le scelte prettamente artistiche rimangono nelle mani del British Council, che liberamente disporrà dei fondi di Frieze. Quali saranno queste scelte, lo scopriremo presto.