Per i suoi primi cinquant’anni Artefiera ha dimostrato una maturità notevole, che ha visto il ritorno di gallerie di prestigio come Lia Rumma, Franco Noero, Sprovieri, con un’offerta di opere degna delle fiere internazionali. Un attestato di fiducia dei galleristi verso Simone Menegoi ed Enea Righi, responsabili di un balzo in avanti opportuno e necessario. Lo stesso risultato è riscontrabile, pur con qualche incertezza, anche ad Art City, il programma di eventi espositivi disseminati nella città di Bologna, coordinato dal direttore del MAMbo Lorenzo Balbi, denso di appuntamenti.
Cominciamo proprio dal MAMbo, che ha aperto le porte della sala delle Ciminiere ad un’artista italiana mid-career di talento come Ludovica Carbotta (1982), protagonista della sua prima mostra antologica “Very Well, on My Own”, curata da Lorenzo Balbi con Sabrina Samorì. Giocata sulla relazione tra individuo e città, la mostra dimostra il rigore espressivo e concettuale dell’artista, sia nei video che nelle sculture, nonostante i riferimenti sia all’Arte Povera (Anselmo e il primo Boetti) che all’artista tedesca Isa Genzken. Debiti superati dalla Carbotta nelle opere dove l’artista è in grado di esprimere una sensibilità intima e poetica – grazie anche a scelte felici di alcuni materiali – spesso affidata a lavori di dimensioni misurate, mentre le opere monumentali appaiono più fredde, congelate in un formalismo non sempre efficace.
Davvero riuscita e allestita in maniera impeccabile la mostra “Sergio Lombardo. 1960-1970″, curata da Anna Mecugni nelle sale della Villa delle Rose, forse una dei migliori spazi museali d’Italia, purtroppo ancora lontana dall’essere adeguatamente valorizzata. Focalizzata sul primo decennio di attività dell’artista romano e distribuita sui due piani della villa, la rassegna consente una lettura cronologica chiara e cristallina della ricerca di Lombardo nelle sue diverse tappe, dai primi collage monocromi ai “gesti tipici”, per poi dare spazio alle “esperienze non contemplative”: opere legate ad una dimensione processuale dove l’artista indaga il rapporto tra percezione, psicologia e comportamento, che lo porteranno ad esporre in una sala personale alla Biennale di Venezia del 1970 le Sfere con sirena (1968-69). Tra le sale più sorprendenti per la profondità della sperimentazione risultano la sala 2 al pianterreno, con il dialogo tra Kennedy e Fanfani (1963), Krusciov (1961-63) e Mao Tze Tung (1964) e la sala 4 al primo piano, con l’installazione 50 punti extra (1966).
Nella Sala Convegni di Palazzo dei Toschi, sede della Banca di Bologna, Davide Ferri ha curato “Abbandona gli occhi”, la personale di Patrick Tuttofuoco che riunisce sette sculture recenti dell’artista, realizzate tra il 2019 ed il 2024 e legate ad una riflessione sul corpo contemporaneo condotta attraverso opere realizzate in marmo rosa, acciaio, neon, metacrilato e ferro. Si tratta di corpi frammentati colti in posizioni di abbandono, che dialogano con scritte luminose al neon che conferiscono alla mostra un tono pop. Una cifra che si ritrova nell’ultima ricerca di Tuttofuoco e raggiunge il suo apice nell’opera No Space, No Time (2019), che vede i calchi in metacrilato colorato di due figure abbracciate -una madre e un figlio – appoggiate su basi metalliche, quasi a suggerire una visione straniante e psichedelica della scultura classica, attivando una sorta di dialogo a distanza con Pink Limen (2024), la scultura che raffigura il torso di un giovane sdraiato in marmo rosa, quasi un “corpo pelle”, come suggerisce Ferri.
Infine, una delle sorprese di Art City è “Idolo”, la mostra dell’Atelier dell’Errore all’interno degli ambienti dell’ex Oratorio di Santa Maria degli Angeli, adibito a sede del LabOratorio degli Angeli, un’officina di restauro di opere d’arte. L’ultima tappa di un periodo particolarmente produttivo per il collettivo fondato da Luca Santiago Mora, protagonista della mostra “Die Werkstadtt”, curata da Eva Brioschi nella sede romana della galleria Richard Saltoun, che ruota intorno alla commissione di Die Goldkammer un fregio permanente in foglia d’oro lungo 22 metri, commissionato dalla principessa Olimpia Torlonia, in una sala di palazzo Torlonia a Roma. Tra le diverse opere esposte a Bologna spiccano i due grandi disegni a parete Grande Cellula Madre e The Ghost Parade, mentre in fondo alla sala , sopra una sorta di altare-ostensorio realizzato con materiali da lavoro è collocato Idolino rosso, una scultura a forma di aracnide rosso dalle lunghe zampe. Presenze fantasmatiche che riempiono lo spazio di energie silenziose ma inquietanti, perfettamente inserite tra gli stucchi e gli affreschi del suggestivo e segreto spazio bolognese.