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È morta Lucia Spadano, fondatrice e direttrice della rivista Segno

Lucia Spadano Lucia Spadano
Lucia Spadano
Lucia Spadano

Scompare per un improvviso malore Lucia Spadano, protagonista per almeno mezzo secolo nell’arte italiana e internazionale

E come faremo, adesso, a entrare in una fiera d’arte senza poter cercare da lontano quella meravigliosa chioma rossa? Da chi cercheremo conferma, o a chi sussurreremo, l’ultimo divertente gossip del giro dell’arte? E chi ci incanterà ancora con i racconti di quella cena con Joseph Beuys, quel pomeriggio con Sol Lewitt, quel drink con Gino De Dominicis? Ci sono personaggi che per qualche insondabile ragione non sono solo protagonisti nell’ambiente in cui operano, ma ne sono le fondamenta. E questa era Lucia Spadano, la storica fondatrice e direttrice della rivista “Segno”. Che oggi – se le lacrime copiose ci consentono di scriverlo – è morta per un improvviso malore nella sua Pescara.

Conoscenti per occasioni professionali, ci eravamo conosciuti a fondo nel 2005, quando Silvia Pichini ci invitò nella Maremma per un lungo giro all’evento “Strade bianche”. Giorni e giorni di chiacchierate, discussioni impegnate alternate a fragorose risate, e balli sfrenati in spiaggia a notte fonda. Era una donna senza età, Lucia. Capace di recitare – con il sottoscritto lo fece, spesso – il ruolo di “mamma” apprensiva, e un minuto dopo quello di coetanea divertente e entusiasta. Ma sempre con una incrollabile autorevolezza derivante dall’aver vissuto da protagonista almeno mezzo secolo di arte internazionale. Sulla tolda – sempre assieme a Umberto Sala, inseparabile marito-sodale – di “Segno”, una delle più antiche riviste d’arte ancora pubblicate al mondo.

Una combattente dell’arte

Lucia è stata fino all’ultimo una combattente dell’arte e per l’arte che, insieme al marito Umberto, ha creato una rivista storica ancora oggi prosegue salda e attiva con i figli Roberto e Massimo”, è il ricordo che ha affidato ad ArtsLife Giacinto Di Pietrantonio, fra le firme storiche della rivista. “Lei stessa, figlia di quella provincia italiana capace di imprese ritenute impossibili come quella di confrontarsi a testa alta col mondo per cui e in cui ha saputo dare voce all’arte in tutte le sue sfumature“.

 

Segno n. 1, 1976
Segno n. 1, 1976

La commozione ora è alta, e non riesco a fare altro che rilanciare alcuni passaggi di una lunga intervista che mi rilasciò nel 2016, in occasione dei quaranta anni della rivista. “Amavo scrivere, guarda caso, di arte”, ricordava dei suoi esordi. “Il mio primo articolo sulla stampa locale è stato su Modigliani. In seguito Umberto sceglie di frequentare il Liceo Artistico di Pescara per poi arrivare alla Facoltà di Architettura al Politecnico di Torino, mentre io ho proseguito il mio iter alla Facoltà di Lettere, anche da me interrotta con il matrimonio e il trasferimento a Torino per circa un decennio, mettendo al mondo quattro figli maschi”. Ma era l’Abruzzo che li richiamava. “All’inizio degli Anni Settanta trovammo a Pescara una situazione culturale effervescente, diversa da quella che avevamo lasciato: gallerie d’arte, associazioni culturali, teatro d’avanguardia, festival del jazz offrivano un panorama goloso”.

Terrorismo artistico

Chiudiamo con un sorriso, come a lei sarebbe piaciuto. Un aneddoto, “accaduto a Roma nel 1978, nel giorno in cui rapirono Aldo Moro. Eravamo andati alla galleria di Mario Pieroni per l’inaugurazione di una mostra di Luciano Fabro. C’erano tantissimi amici del mondo dell’arte e si fece una gran festa, ma la nostra euforia venne spenta dalla notizia del rapimento. Come al solito, a tarda sera io e Umberto ci avviammo per rientrare a casa. All’imbocco dell’Autostrada Roma-Pescara c’era un posto di blocco con soldati armati di mitra che ci interrogarono sul motivo della nostra presenza a Roma e perquisirono accuratamente il bagagliaio della nostra automobile. Eravamo terrorizzati dal loro atteggiamento minaccioso, soprattutto quando nel bagagliaio trovarono dei numeri di Segno che avevano, in copertina, una bellissima Stella a cinque punte di Zorio, alcuni dei famosi libriccini rossi di Beuys Azione terza Via e il libro Avanguardia di massa di Maurizio Calvesi! Fu faticosissimo convincerli che si trattava di pubblicazioni di arte contemporanea e non di terrorismo, ma… al secondo posto di blocco buttammo via tutto per rientrare incolumi a casa!”.

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