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Madonna, che arte!

Giacomo Manzù ''Annunciazione'', 1956, particolare Giacomo Manzù ''Annunciazione'', 1956, particolare
Giacomo Manzù ''Annunciazione'', 1956, particolare
Giacomo Manzù ”Annunciazione”, 1956, particolare

L’artista Bruno Ceccobelli parla della Madonna Povertà, citando San Francesco e Jacopone da Todi. Considerazioni che ci portano a comprendere un’arte e un artista nella sua essenzialità

Se la vera maledizione nel nostro mondo del terzo millennio “after-post-modernism” non fosse la “povertà” sociale, ma la sua ricchezza, allora la povertà potrebbe essere una qualità esistenziale più confacente all’umanità, piuttosto che la spasmodica ricerca giornaliera per un nostro Potere personale?
Per esempio una società di poveri sarebbe una società senza ricchi ed escluderebbe quindi la povertà!
Attenzione miscredenti scomunicati dalla nascita, lungi da me proporvi il Medioevo, né le grotte dei Neanderthal e non intendo la povertà come… un errore della creazione, o come la miseria per tutti, ma nell’accezione intesa da San Francesco e cioè come Madonna Povertà da sposare.
Francesco d’Assisi dice che la povertà era il vestito più bello da indossare, che gli uccellini non costruiscono granai, che “I gigli nel campo non filano, né tessono, ma nemmeno Salomone è vestito come loro”; inoltre, i narcisi in mezzo ai campi profumano per se stessi, anche se nessuno mai li annuserà… però che strano, in natura non nasce, e forse, neanche nell’intero Universo, quel nostro atavico capitalismo necrofilo incistato in noi dalle tenebre.

 

Salvador Dalì ''L'annuncio'', 1960
Salvador Dalì, ”L’annuncio”, 1960

Certo, parlo solo a quelli che si sentono beati anche se poveri, essi sono ricchi di fede e forti nelle avversità, perché capaci di fare di se stessi semplicità, sintesi ed essenzialità.
Parlo a quelli che considerano la povertà una fortuna, “Nell’agio mi sento a disagio”, diceva frate Bernardino* che, attraverso la grazia della pazienza, aspettava felice la sua Divina Provvidenza.
I cuori avvelenati della nostra ridicola attualità consumistica non possono comprendere come si possa vivere protetti dalla Divina Provvidenza, che peccato!
Eppure pensate che poco dopo San Francesco, il Beato Jacopone da Todi, nella Laude “O Amor de povertate” dice che la povertà è un regno di tranquillità e che essa è la strada sicura, il povero non ha padroni… nessuno lo assale, non ha gabelle… e nel suo guadio, il cielo lo riempie, e sente di possedere tutte le nazioni.

Nel 2003 si fece, prima a Roma nel Pantheon, poi a Bruxelles nel Parlamento Europeo e successivamente nel 2004 a Palermo, presso il Loggiato San Bartolomeo, una mostra internazionale di artisti del Novecento, interessati a soggetti religiosi dal titolo: “La Madonna nell’Arte Contemporanea”**, curata da Maurizio Calvesi e ideata da Lorenzo Zichichi de “Il Cigno G. G. Edizioni” e ancora dalla “Galleria Ca’ d’Oro” di Roma.
La Madonna, nella nostra banale ignoranza, è quell’immaginetta stereotipata che si può trovare su di una bancarella da sacrestia, una statuina, magari di plastica col tappetto a vite, con dentro l’acquasanta.
Ma basta avere una capacità semantica ed etimologica per dividere quel nome in due che si apre un mondo, non sarà più solo la madre di Cristo, la Theotókos, ma anche un simbolo di dolcezza: M’aria, la mia aria… il mio respiro, la mamma di tutti noi.

 

Bruno Ceccobelli, ''M'aria'', 1983
Bruno Ceccobelli, ”M’aria”, 1983

Allora eccola, appare la Ma Donna, la mia Donna o la mia Signora… e chi è la mia Signora?
È la super logica metafisica, la nostra Coscienza Superiore, la grazia animosa che alberga in ognuno di noi… ah! No, no, non è quella malsana logica matematico-speculativa dei mercanti devoti ai vitelli d’oro.
L’uomo, ci dicono i medici, è un ammasso pulsante di cellule biologiche, certuni con affanno ne hanno un bel po’ da trasportare e altri faticano a moltiplicarle, ci sono poi gli umani atletici, sicuri delle proprie cellule muscolose, beati loro, ma su tutti aleggia un dubbio: un’insoddisfazione intuita.
Ecco siamo proprio sicuri che è tutta lì, nella biologia, la nostra vita?
O forse manca un altro “verbo”, altre parole sfuggenti, più sensibili, per descrivere la grande complessità della sacralità umana?
Perché si è sempre alla ricerca, spesso inconsapevole, di un completamento celeste?
Forse per sottoporci ad uno screening esistenziale più concorde?
Ad una perfezione “altra”, archetipale, ontologica, più appagante, trascendentale… soprattutto grazie all’arte?
L’artista è sempre alla ricerca del senso recondito delle cose, il suo tormento è di riuscire ad esprimere il mondo dell’ineffabile. Come non vedere allora, quale grande sorgente di ispirazione possa essere per lui quella sorta di patria dell’anima che è la religione? Non è forse nell’ambito religioso che si pongono le domande personali più importanti e si cercano le risposte esistenziali definitive?***

 

Pablo Picasso, ''La crocefissione'', 1930, particolare
Pablo Picasso, ”La crocefissione”, 1930, particolare

 

Afro, ''La pietà'', 1951
Afro, ”La pietà”, 1951

 

Allora cerchiamo forme, colori o parole magari astratte, ma di senso più elevato, spirituali, come Pacificazione, Assoluto, Essenza, Bellezza, Anima, Grazia, Giustizia e Misericordia… parole che possono essere incarnate solo dalla leggiadria e dallo splendore della poiesis e dell’Arte Metafisica.
Non possiamo negare che, senza il supporto ideologico ed economico soprattutto della Chiesa Cristiana, se non altro fino al Postmoderno****, non sarebbero esistite quelle Storie delle Arti, della musica e dell’architettura proprie della Civiltà Occidentale.
Ma tu come vedi l’artista essenziale?
L’artista deve avere un sapere aulico, è un sacer… un sacer-dote, uno sciamano, un curandero della “Plastica Sociale”, come diceva Joseph Beuys, di conseguenza un artista deve anche essere un filosofo a colori.

 

Bruno Ceccobelli, ''Madonna del Pantheon'', 2003
Bruno Ceccobelli, ”Madonna del Pantheon”, 2003

Io, per esempio, non mi sento né un pittore né uno scultore, sono “sostanzialmente” senza stile e senza personalità, sono solo il “canale” di un evento, mi sintonizzo e faccio la messa a punto del sacro al momento, quindi sono uno psicoartista fenomenologico, un celebrante “decerebrato”, ma lavoratore-creatore che s’ingrazia solo con le mani i Mani*****, un manovale celeste.
Un’arte e una società essenziali, cioè governate dalla Ma Donna, ossia dalla nostra Coscienza Superiore, possono pacificare i cuori intossicati della nostra quotidianità.

* Frate Bernardino eremita che ho seguito per anni in un romitorio sopra Cesi in Umbria; aveva restaurato una chiesetta del Duecento, dove era passato a meditare San Francesco nel suo percorso verso Greccio e, inoltre, restaurò anche il convento del Seicento che la conteneva.
** Gli artisti presenti alla mostra “La Madonna nell’Arte Contemporanea” erano: Afro, Hermann Albert, Nag Arnoldi, Ugo Attardi, Matteo Basilé, Vanessa Beecroft, Carlo Bertocci, Gregorio Botta, Carlo Carrà, Bruno Ceccobelli, Mario Ceroli, Sandro Chia, Salvador Dalì, Giorgio de Chirico, Pericle Fazzini, Alberto Gàlvez, Alessandra Giovannoni, Emilio Greco, Carlo Guarienti, Piero Guccione, Renato Guttuso, Fathi Hassan, John Kirby, Ernesto Lamagna, Julio Le Parc, Riccardo Licata, Giacomo Manzù, Carlo M. Mariani, Umberto Mastroianni, Igor Mitoraj, A. Zoran Music, Mimmo Paladino, Pablo Picasso, Oliviero Rainaldi, Croce Taravella.
*** Frase scritta da San Giovanni Paolo II° nella sua lettera agli artisti del 1999.
**** Post-Moderno: si cita per la prima volta nel 1870, data riportata in un testo di Johannes Willem Bertens, Hans Bertens e Douwe Fokkema dal titolo: “International Postmodernism: Theory and Literary Practice”. Intendo per Post-Moderno il periodo che intercorre tra la mostra degli Impressionisti del 1874, a Parigi, e quello della mostra Post-Human di Jeffrey Deitch del 1992, al Museo di Arte Contemporanea di Losanna. Devo anche sottoscrivere le conclusioni che l’autore Alan Kirby trae nel suo saggio “The Death of Postmodernism and Beyond”, definendo il postmoderno come “pseudo-modernismo”.
***** I Mani, per gli antichi romani, erano dei lari, spiriti degli avi defunti che giravano nelle case di famiglia, memorie neutre che comunque dovevano essere onorate.

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