Hiền Hoàng (1990) è un’artista interdisciplinare vietnamita residente in Germania. Il suo lavoro esplora le narrazioni culturali, le relazioni uomo-natura e la complessità dell’identità. Il suo repertorio artistico comprende fotografia, installazione, performance, film, luci, suono. Con noi parla della sua formazione, della sua poetica e dei tanti progetti, da Asian Bistro passando per Scent from Heaven fino a Made in rice, col quale evidenza le lotte degli immigrati che si sentono costretti a cancellare la propria identità per inserirsi in una nuova cultura, richiamando l’attenzione sui temi più ampi dell’identità e dell’integrazione sociale. Ecco l’intervista che ha rilasciato per ArtsLife.
Puoi parlarci del tuo percorso formativo e artistico che ti ha portata a essere una delle voci più interessanti del panorama fotografico e non solo?
Grazie, sono lusingata di sentirlo, anche se credo di avere ancora molta strada da fare. Il mio percorso è stato un mix di educazione formale ed esplorazione personale. Ho conseguito un master in fotografia e design presso l’HAW di Amburgo, dove ho acquisito competenze tecniche essenziali e il pensiero concettuale.
Fin da piccola sono stata attratta dal disegno e dalla pittura, incoraggiata dalla mia famiglia. Un incontro accidentale con la fotografia, esponendo alla luce la pellicola di mio zio, ha scatenato una curiosità che ha alimentato la mia pratica artistica , completando il mio amore per il disegno e la pittura.
Trovo ispirazione nei libri di psicologia e fisica e nell’osservazione della natura. Le sensazioni travolgenti che provo di fronte a fenomeni naturali come le onde imponenti o le maestose montagne influenzano profondamente il mio lavoro.
Nel corso del tempo, mi sono espressa con vari media come film, performance, installazioni, luce e suono. Questo approccio interdisciplinare mi permette di esplorare temi complessi da più prospettive. Il mio lavoro spesso affronta l’identità culturale, le interazioni uomo-naturale e le narrazioni della società.
I tuoi progetti hanno riscosso grande interesse e successo. Penso ad Across the Ocean esposto al festival Rencontres D’Arlres, o ad Asian Bistro al Foam di Amsterdam e ancora alla mostra in Italia a Torino quest’anno. Ci parli di questi progetti e in particolare della poetica, del focus concettuale?
Ho iniziato con “Asia Bistro – Made in Rice”, un progetto interdisciplinare che utilizzava il cibo, la fotografia, la performance e la simbologia per affrontare i luoghi comuni e la discriminazione nei confronti della comunità asiatica in Germania. Quando sono entrata in contatto con i miei parenti a Berlino, in particolare con la mia defunta zia, ho scoperto i suoi traumi che hanno plasmato la sua identità e il suo senso di appartenenza. Questo ha approfondito il mio progetto, portandomi a esplorare gli strati traumatici dei lavoratori immigrati vietnamiti in Germania. Questa esplorazione è culminata in “Across the Ocean”, in cui ho decodificato le lettere di mia zia, rivelando la discrepanza tra la realtà da lei presentata e le reali esperienze dei lavoratori a contratto nella Germania dell’Est.
Ho tradotto questa discrepanza nel mio lavoro, utilizzando forme, colori e immagini distrutte stampate su plexiglass, un materiale altamente commerciale che simboleggia il rapido consumismo culturale. La facilità di accesso al cibo asiatico in un bistrot locale contrasta nettamente con le storie profonde, spesso dolorose, che si celano dietro queste esperienze di immigrazione.
“Asia Bistro” è stato pubblicato per la prima volta sul numero 41 della rivista Foam nel 2023 e recentemente mi è valso il premio Foam Paul Huf 2024
Questo riconoscimento mi motiva a continuare a esplorare questi temi critici nel mio lavoro.
“Made in Rice”, invece, di cosa parla e come è stato concepito?
Made in Rice è una video performance a tre canali. La performance è stata ispirata da una popolare canzone tedesca per bambini. Inizialmente la canzone sembra ingenua e divertente, ma il suo testo rivela discriminazioni e stereotipi sottostanti.
Questo contrasto tra una canzone apparentemente innocua e il suo contenuto problematico mi ha ispirato a creare un’opera che riflettesse questa dualità.
Nella performance, il cibo diventa un fardello, una maschera e un costrutto sociale che gli artisti rompono, simboleggia il modo in cui mia zia e molti immigrati della sua generazione cercavano di nascondere la propria identità per integrarsi nella società tedesca e diventare buoni immigrati.
Questo concetto risuona con le idee di Frantz Fanon sull’invisibilità del corpo degli immigrati. Attraverso questa performance, mi propongo di mettere in evidenza le lotte degli immigrati che si sentono costretti a cancellare la propria identità per inserirsi in una nuova cultura, richiamando l’attenzione sui temi più ampi dell’identità e dell’integrazione sociale.
Utilizzi diversi mezzi, perché questa scelta?
L’uso di mezzi diversi mi permette di esplorare i temi da più angolazioni e di creare esperienze coinvolgenti e stratificate. Ogni mezzo – fotografia, film, performance, installazione – offre possibilità uniche che arricchiscono la mia pratica.
Il mio obiettivo è toccare le persone emotivamente, così come l’arte ha toccato me. I diversi mezzi aiutano a evocare una serie di emozioni e a coinvolgere i sensi. La fotografia cattura momenti specifici , i film danno profondità narrativa, le performance aggiungono una dimensione interattiva dal vivo e le installazioni trasformano gli spazi.
Ad esempio, in Asia Bistro – Made in Rice il simbolismo del cibo sfida gli stereotipi e provoca una riflessione sugli stereotipi culturale. In Sent from Heaven, la combinazione di narrazione visiva e significato culturale del legno di Agar crea una suggestiva esperienza storica e sensoriale.
Combinando questi mezzi, posso esplorare appieno la complessità dei miei soggetti e fornire un’esperienza più ricca e dinamica agli spettatori. Questo approccio interdisciplinare mi aiuta a connettermi con il pubblico su più livelli, favorendo una risposta emotiva profonda e duratura.
Mi parli dell’installazione Treescape in Planten un Blomen?
L’installazione Treescape in Planten un Blomen nel 2023 faceva parte del mio progetto “Scent from Heaven”, che esplora la storia del legno di Agar, un legno pregiato e profumato (si dice che questo legno profumato fosse una delle spezie usate da applicare sul corpo di Gesù dopo la sua crocifissione) Ho voluto tradurre queste storie e i sogni delle persone che cercano il legno di Agar per la guarigione o la connessione spirituale.
Nell’installazione, ho collegato gli spazi tra gli alberi e i loro rami con proiezioni video che raffiguravano il viaggio del legno di Agar , il suo significato culturale e il paradosso della sua bellezza e del suo dolore.
L’ambiente è stato riempito di suoni e musica sviluppata da registrazioni all’interno degli alberi sofferenti, creando un’atmosfera inquietante e allo stesso tempo accattivante.
Il pubblico ha potuto camminare liberamente nel parco, sperimentando le storie da diverse angolazioni e prospettive. Da un punto si potevano sentire i gemiti di un albero sofferente, mentre da un altro poteva vedere la proiezione di una danzatrice che simboleggiava il viaggio spirituale del legno di Agar.
Questo allestimento ha permesso a ogni visitatore di vivere un’esperienza unica e immersiva, coinvolgendo con la narrazione sia visivamente che a livello uditivo.
L’installazione mirava a creare una profonda connessione tra il pubblico e l’ambiente naturale, incoraggiando la riflessione sulla relazione tra umanità e natura e sul modo in cui percepiamo e valutiamo la sofferenza e la bellezza.
Parli degli stereotipi che ancora esistono, infatti hai dichiarato ”Nel mio approccio artistico , combino miti, sogni e verità sorprendenti per far emergere la complessità delle emozioni e i molti strati di un soggetto al pubblico”. Vuoi spiegare questa affermazione?
I miti, i sogni e le verità sorprendenti sono parte integrante della mia pratica artistica perchérappresentano diverse sfaccettature dell’esperienza e della comprensione umana.
I miti sono le storie e le narrazioni collettive che le società creano per dare un senso al mondo che le circonda. Hanno un significato culturale e spesso riflettono credenze e valori profondi. Nel mio lavoro, uso i miti per esplorare come si forma e si mantiene l’identità culturale. Facendo appello a queste storie condivise, mi propongo di entrare in contatto con il pubblico a un livello profondo, attingendo al potere di queste antiche narrazioni per gettare luce su questioni contemporanee.
I sogni, invece, rappresentano gli aspetti personali e subconsci della nostra esperienza.
Sono gli spazi in cui i nostri desideri, le nostre paure e le nostre emozioni più profonde vengono alla ribalta, consentono un’esplorazione più intuitiva e immaginativa dei miei soggetti. Incorporando elementi dei sogni nella mia arte, posso approfondire le dimensioni emotive e psicologiche dell’identità e dell’esperienza offrendo una visione più intima e introspettiva.
Le verità sorprendenti sono le rivelazioni che sfidano le nostre nozioni e ipotesi preconcette. Queste verità possono sconvolgere il familiare e provocare una rivalutazione di quello che crediamo sia reale o possibile. Nel mio lavoro, mi sforzo di scoprire e presentare queste verità sorprendenti per mettere in evidenza le complessità e le contraddizioni insite nelle identità culturali e nelle narrazioni della società. In questo modo, spero di incoraggiare una riflessione critica e di una comprensione più profonda dei temi che esploro.
Insieme, mi permettono di presentare i molti strati di un soggetto, catturandone la complessità e invitando il pubblico a confrontarsi con esso. su più livelli. Questo approccio aiuta a esplorare la ricchezza dell’esperienza umana e l’intricata interazione tra l’individuo e la collettività, il personale e il collettivo, il personale e l’universale.