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Arianna Carossa e la “fame infuocata del desiderio”

Arianna Carossa, Respiro la fame infuocata del desiderio
Arianna Carossa, Respiro la fame infuocata del desiderio
L’ex Ospedale Psichiatrico di Quarto, a Genova è un luogo storico e ricco di memoria che oggi accoglie tra i suoi spazi anche l’arte contemporanea: fino alla fine di agosto è in scena “Respiro la fame infuocata del desiderio” di Arianna Carossa

È una calda mattina di luglio a Genova, e il sole è già alto nel cielo quando arrivo davanti all’ex ospedale psichiatrico di Quarto. L’aria è intrisa del profumo salmastro del mare, e le cicale riempiono l’atmosfera con il loro incessante canto estivo. Davanti a me, la facciata dell’edificio in pietra appare imponente e un po’ malinconica, testimone silenzioso di storie passate.

Varcando la soglia dello Spazio 21, vengo accolto da un ambiente che sembra sospeso nel tempo. Qui, tra le mura di questo luogo un tempo dedicato alla cura dell’anima e della mente, ha preso vita “Respiro la fame infuocata del desiderio”, la nuova mostra di Arianna Carossa, curata da Guia Cortassa.

Il tema del desiderio, ardente e insaziabile, permea ogni angolo dell’esposizione. È come se la fiamma del desiderio di cui parla Patti Smith nella sua iconica canzone Because the Night fosse stata accesa qui, in questo spazio inondato di luce e ombre. Il desiderio è un fuoco che brucia senza mai spegnersi, una fame che non conosce sazietà.

Arianna Carossa, Respiro la fame infuocata del desiderio

Il mio sguardo viene subito catturato da un’installazione centrale nella grande sala illuminata dalla luce del giorno: due mani sospese, delicate e potenti allo stesso tempo. Sul pavimento, decine di falangette disseminate come petali caduti di un fiore di marmo bianco. C’è qualcosa di profondamente commovente in questa scena: le mani sembrano protendersi, bramose di toccare e sentire, mentre le falangette suggeriscono un desiderio che si disperde e si moltiplica all’infinito.

“Ogni volta che penso a qualcosa di doloroso, penso al sole,” dice Carossa, l’artista genovese che ha scelto New York come sua seconda casa. Le sue parole risuonano come un’epifania: il sole che illumina e brucia, che vivifica e consuma, è il simbolo perfetto di quel desiderio inappagato che anima il nostro essere.

Continuo il mio percorso attraverso la mostra e mi imbatto in un’opera che sembra uscita da un sogno o da un incubo. Valentina Furian, con il suo tocco visionario, mi conduce davanti a una porta chiusa. Una mano chiusa a cannocchiale guida il mio occhio verso lo spioncino: dentro, una casa avvolta dalle fiamme, il fuoco che danza e divora tutto ciò che trova sul suo cammino. È una visione ipnotica e inquietante, che parla della fragilità delle nostre certezze e della forza distruttiva del desiderio quando non può essere controllato.

Lungo le pareti, altre opere di Carossa catturano la mia attenzione. Un autoritratto scolpito nel marmo mi colpisce per la sua delicatezza, un gioco di assenze che trasforma la pesantezza della pietra in leggerezza. “Quando non stai bene, sei come trasparente, non hai confini. Più stai bene, più crei confini anche dentro di te per non farti invadere,” spiega l’artista. Le sue parole evocano un’immagine potente del nostro rapporto con il mondo e con noi stessi.

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Arianna Carossa, Respiro la fame infuocata del desiderio

Nel cortile interno, una lastra di marmo incisa con la parola “Noia” si erge come un monito silenzioso. Mi fermo a riflettere sulla sua presenza imponente, sul significato di quel termine che Alberto Moravia descriveva come un “disturbo della salute.” L’infinito si trasforma in una prigione, e la promessa di eternità diventa una minaccia. Eppure, come Carossa sottolinea, “Il vuoto ha sempre un contraltare. Per me il vuoto è la possibilità di essere creativi, è connesso con la noia ed è fonte di creatività. Ma nello stesso tempo, il vuoto ti può anche annientare.”

Queste opere, ciascuna con la propria voce, si intrecciano per raccontare una storia universale di ricerca e scoperta, di perdizione e salvezza. L’arte diventa qui un rituale che incanala il desiderio, una fiamma sottile e duratura che ci guida nel nostro viaggio interiore.

La mia visita giunge al termine con la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza trasformativa. “Respiro la fame infuocata del desiderio” non è solo una mostra d’arte; è un salto nel profondo dell’anima umana, un richiamo a guardare oltre il visibile e a confrontarsi con ciò che ci muove e ci definisce.

Esco dall’edificio, e il sole di Genova mi accoglie con il suo calore. Mi porto dentro la sensazione che, come le opere di Arianna Carossa, anche noi siamo fatti di desideri e sogni, di vuoti da riempire e di fiamme che non si estinguono mai. Non perdetela; vi riempie il cuore fino al 30 agosto allo Spazio 21, sala L, Via Giovanni Maggio, a Genova

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