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Il Pardo è donna. Al Locarno Film Festival un incontro e un rapporto sulla disparità di genere nel cinema

La locandina di Locarno 77, realizzata da Annie Leibovitz La locandina di Locarno 77, realizzata da Annie Leibovitz
La locandina di Locarno 77, realizzata da Annie Leibovitz
La Piazza Grande di Locarno allestita come cinema all’aperto nei giorni del Festival

La 77esima edizione del Locarno Film Festival, in corso fino al 17 agosto, oltre a una variegata selezione di film provenienti da tutto il mondo, offre una serie di “conversazioni” che raccolgono personalità di alto profilo intorno a temi che riguardano da vicino il mondo del cinema.

Tra queste c’è “Sguardi al femminile”, che ha visto Piera Detassis, Presidente dei David di Donatello, dialogare con cinque donne, registe o attrici di tre film presentati in questi giorni al Festival: per “Sulla terra leggeri” la regista Sara Fgaier e l’attrice Sara Serraiocco; per “Luce” la regista Silvia Luzi e l’attrice Marianna Fontana; per “Real” la regista Adele Tulli. Il tema è quello è quello della parità di genere, ancora un’utopia nella quasi totalità dei settori economici, industria cinematografica inclusa.

La presidente dei David di Donatello Piera Detassis
La presidente dei David di Donatello Piera Detassis

Il punto di partenza? Uno studio annuale realizzato da Lab Femmes de Cinéma – think tank creato nel 2017 come parte dell’associazione Révélations Culturelles – e basato sulle statistiche fornite dall’European Audiovisual Observatory (EAO). Se la parità tra uomo e donna è fondamentale in ogni aspetto della società, il rapporto sottolinea come nel caso del cinema assuma un’importanza particolare, in quanto le storie raccontate sul grande schermo hanno il potere di plasmare l’immaginario collettivo, partecipando alla costruzione della società nel momento stesso in cui la riflettono. Un dato su tutti: in media, in Europa, solo un regista su quattro è donna (in Italia ancora meno). Oltre alla mera (e quanto mai significativa) percentuale numerica, i dati evidenziano come in media le donne nel cinema siano ancora sottopagate, ricevano meno sovvenzioni, beneficino di una minore programmazione dei loro film rispetto ai loro colleghi uomini e di come i personaggi femminili siano ancora spesso stereotipati e di contorno rispetto a quelli maschili.

La locandina di Locarno 77, realizzata da Annie Leibovitz
La locandina di Locarno 77, realizzata da Annie Leibovitz

La maggiore problematica si presenta nel lungo termine, laddove le barriere discriminatorie impediscono alle giovani cineaste di affermarsi: se i laureati delle scuole di cinema sono in pari percentuale uomini e donne, la percentuale femminile scende al 34% quando si parla dei cortometraggi girati in Europa. L’andamento non migliora quando si passa ai lungometraggi: solo il 24% dei registi all’esordio o al loro secondo lavoro è donna, fino ad arrivare a un misero 15% quando ad essere girato è il terzo film della carriera di un regista. D’altra parte, se il rapporto di Lab Femmes de Cinéma testimonia come queste percentuali siano in crescita, non manca di sottolineare come, agli attuali ritmi, la parità di genere non potrebbe essere raggiunta prima del lontanissimo 2080.

Quali le possibili soluzioni? Lo studio, nella sua versione aggiornata al 2023, prende in analisi 36 stati europei, mettendo in luce le politiche più virtuose che (ancora) solo poche nazioni ad oggi hanno messo in atto per incentivare la realizzazione di film diretti da donne: gli effetti più o meno positivi di queste decisioni potrebbero essere rilevati proprio dalle future edizioni del rapporto annuale emesso da Révélations Culturelles. Una delle misure più radicali è stata approvata in Spagna, dove dal 2020 una quota pari al 35/40% del budget totale delle sovvenzioni per il cinema deve essere destinata a progetti di registe donne. In Francia, d’altra parte, gli aiuti erogati sono condizionati a una formazione obbligatoria sulla prevenzione delle molestie sessuali. In Danimarca, i produttori che chiedono sostegno sono tenuti a riferire sulla composizione di genere dei team di lavoro, sulla distribuzione salariale e sul numero di dialoghi per ogni membro del cast, in relazione al genere di appartenenza.

 

Marianna Fontana in una scena di "Luce" (2024) di Silvia Luzi e Luca Bellino
Marianna Fontana in una scena di “Luce” (2024) di Silvia Luzi e Luca Bellino

Tra i tre film messi in luce durante l’incontro avvenuto a Locarno, quello che più risuona per le tematiche evidenziate dallo studio del Lab Femmes de Cinéma è “Luce” di Silvia Luzi e Luca Bellino. La protagonista, interpretata da Marianna Fontana – il cui nome non ci viene rivelato –, è solo una delle numerose operaie che lavorano in una alienante conceria di pelli in cui l’uomo appare solo nelle vesti di padrone, pronto a disinnescare qualsiasi tentativo da parte delle lavoratrici di sfuggire alla condizione di oppressione a cui sono costrette. In un mondo e in una vita dove ironicamente la luce non sembra esistere – la fotografia di Jacopo Maria Caramella restituisce una realtà plumbea, fatta di interni dai colori spenti e di esterni quasi esclusivamente notturni –, l’unica figura maschile che si affaccia nella vita di Marianna non è corporea, ma si identifica con una “voce” (Tommaso Ragno) con cui la protagonista intrattiene lunghe telefonate, dipingendo le desolanti e grigie giornate da lei vissute con colori vivaci, trasformando un vecchio produttore di guanti, da cui è avvicinata nel film, in un rampante stilista milanese follemente innamorato di lei. A chi appartiene quella voce? Forse al padre che l’ha lasciata sola perché da anni e anni rinchiuso in carcere? Ciò che importa sembra essere la fievole speranza che la sola esistenza di questa voce proietta tra gli oscuri pensieri della protagonista.

I registi di "Luce", Silvia Luzi e Luca Bellino
I registi di “Luce” (2024), Silvia Luzi e Luca Bellino

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