Il decadimento ambientale dovuto all’intervento umano è il tema centrale su cui si sviluppa la mostra Bertozzi & Casoni. Non è quel che sembra, aperta dal 14 settembre 2024 al 7 gennaio 2025 al Labirinto della Masone di Fontanellato (PR).
La poetica del “rifiuto” impronta da alcuni decenni l’arte di Bertozzi&Casoni, il duo emiliano che esordì nella produzione ceramica a fine anni Settanta: “rifiuto” inteso come residuo di quel cibo che spesso affolla le nostre tavole in un grottesco e disordinato accumulo. Ma anche come residuo delle stratificazioni di passaggi umani e animali, come conseguenza ultima delle metamorfosi subite dalla forma nonché come suggello del definitivo tramonto di valori acquisiti: purezza, ordine, immutabilità, consapevolezza etica.
Quale l’origine di queste complesse messe in scena che, più vere del vero, mettono l’accento su ciò che resta di pantagruelici pasti su tovaglie ormai non più linde, nonché sulle ferite inflitte a una natura violata, anche se pronta alla rinascita? Giampaolo Bertozzi, illustrando l’ultima mostra Non è quel che sembra, aperta, sotto la direzione di Edoardo Pepino, al Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, a Fontanellato (Parma), spiega: “Stefano Casoni – purtroppo di recente scomparso – ed io, osservando negli anni in cui studiavamo alla Scuola d’Arte di Faenza il mondo che ci circondava, notavamo la presenza invadente di scarti e rifiuti. E proprio questi nel tempo sono venuti a rappresentare il centro della nostra ricerca. Ma non bisogna mai fermarsi alla superficie delle cose bensì valutarne i diversi piani di lettura. Nella mimesi che abbiamo raggiunto, grazie a un uso molto sperimentale della ceramica, è sicuramente contenuta una critica del sociale, cioè del consumo smodato che caratterizza il mondo contemporaneo, e dello spreco che ne consegue, ma anche molta volontà di stupire, di provocare, di creare quello scarto tra apparenza e realtà che sta alla base dell’arte”.
Una delle cinque figure arcimboldesche (“Quinta stagione”, 2020) che rappresentano l’incipit della mostra, non a caso, è frutto dell’assemblage non più di frutti, ortaggi e fiori, come nella tradizione antica, ma di lattine, tappi, tubi, fili elettrici, tutti, come sempre, resi nell’argilla con virtuosistico realismo, siano essi modellati a mano, ottenuti con stampi al silicone da oggetti veri o lavorati con tecniche sofisticate – dal colo di argilla liquida al 3D – concentrando una summa di conoscenze degne della bottega di un novello alchimista. Tipica del “marchio” Bertozzi&Casoni anche la scannerizzazione di immagini ed etichette tratte da oggetti di largo consumo, conservati negli sterminati archivi dei laboratori, poi traposte con colori speciali sulle superfici ceramiche. Bertozzi chiosa divertito: “Ho studiato da pittore e mi sono sempre sentito innanzitutto pittore. Legandomi alla pittura, mi piace però modificare la realtà. Torno quindi alla pittura negandola: la mia pennellata diviene tazzina”.
Disseminate nelle sale della magnifica collezione d’arte antica e moderna che appartenne all’editore e connoisseur Franco Maria Ricci, conservata appunto al Labirinto di Fontanellato, le quaranta opere degli artisti emiliani – da “Flamingo” (2012), macabri fenicotteri e farfalle simbolo di rinascita, a “Ricordo” (2024), curiosa effige di uno smemorato Pinocchio – suscitano meraviglia e vibrano di quei sortilegi dell’assurdo che sono presenti anche nei sette racconti che Tiziano Scarpa ha ideato per accompagnare le opere di Bertozzi& Casoni. Spietatamente crudeli, prendono ora spunto da “Macaco dell’Arte”, che tiene stretta fra gli artigli l’icona della “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer (“L’amore che non hai avuto”), come da “Vassoio Ma”, ripieno del mostruoso polpo acciambellato con tazzine fra i tentacoli (“I contenitori del mare”), o da “Resistenza 2”, la gigantesca, visionaria mensa imbandita con i resti di un ipotetico pranzo consumato dai Grandi della Terra (“Il menù perfetto”).