A Carla Cerati (1926-2016), scrittrice e fotoreporter dallo sguardo critico sul mondo, la Galleria Valeria Bella a Milano presenta una piccola ma preziosa retrospettiva dedicata alle contraddizioni della società moderna. In mostra ci sono foto originali tratte dalla serie Morire di classe (1968) e Mondo Cocktail (1974), rigorosamente in bianco e nero, scattate da una attenta osservatrice di anni turbolenti, quando non era facile per una donna farsi strada nell’ambito della fotografia (fino al 12 ottobre 2024).
Cerati risiede stabilmente a Milano dal 1952, dove frequenta gli ambienti del “Circolo Fotografico Milanese”, un punto di riferimento importante dell’associazionismo fotografico italiano (fondato nel 1930). Negli anni successivi, pubblica le sue fotografie in periodici italiani come Vie Nuove e L’Espresso, e, lavorando per diverse testate, diventa fotoreporter professionista. Attratta dai cambiamenti del boom economico, giovane e bella, sfoggia un taglio corto di capelli, stile Valentina di Crepax, e curiosa com’era esplora il mondo con la sua macchina fotografica, avviando una carriera straordinaria ricca di incontri e opportunità. Cerati immortala i volti della gioventù di quegli anni, gli angeli del fango dell’alluvione del ’66, i nuovi quartieri della città, le vetrine luccicanti dei grandi magazzini, gli svaghi domenicali, gli umili in Sicilia e, in particolare, è affascinata da una Milano già “da bere”, inebriata da party negli anni del cambiamento sociale.
Questa Milano mondana si riflette nelle sue fotografie di ricchi ed eccentrici signori e signore spiaggiati su divani con il bicchiere in mano, ammantati da nuvole di fumo di sigaretta, tratte da Mondo Cocktail. In mostra si possono vedere stampe vintage con montaggio originale che abitano il mondo dei cosiddetti “radical chic milanesi”, una casta non estinta. Sono immagini che ci immergono nelle atmosfere di una Milano tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, quando, tra lotte di classe, rivoluzioni, contestazioni, vernissage e mondanità, la cronaca tra miseria e gloria si fa storia e memoria, e Milano diventa crocevia di avanguardie artistiche e culturali.
Cerati, in cerca di altro dai riti vacui della borghesia annoiata milanese, prima trova il dramma rappresentato a teatro, quando comincia a scattare dietro le quinte senza disturbare eventi del mondo dello spettacolo di quegli anni, da Giorgio Strehler ad Edoardo de Filippo, fino alla troupe di Tadeusz Kantor, ai travestiti de La Grande Eugéne, all’irriverente Carmelo Bene e a Monica Vitti. Scopre altro quando approda al Living Theatre nel 1967, un incontro fatale che la porta a seguire il gruppo in Italia e all’estero. Tuttavia, il dramma vero lo trova in strada, tra le rivolte studentesche e i funerali delle stragi, quando fotografa processi, scontri e manifestazioni femministe in una Milano travolta da eventi cruciali della storia italiana.
È stata una assidua frequentatrice della Libreria Einaudi di via Manzoni, dove, muovendosi come un gatto tra la folla, ha ritratto silenziosamente i protagonisti del mondo culturale del suo tempo, tra cui Gillo Dorfles, Umberto Eco, Salvatore Quasimodo, Lamberto Vitali, Elio Vittorini e molti altri intellettuali. Nel 1968, Cerati espone il suo pantheon di personaggi culturali in una mostra intitolata Culturalmente impegnati alla galleria Diaframma di Milano, dove all’epoca espongono autori allora sconosciuti che hanno segnato la storia della fotografia italiana.
Cerati passa dalla frivola mondanità a tematiche sociali e politiche nel 1968, gli anni “caldi”, quando collabora con Franco Basaglia per documentare la situazione straziante dei manicomi italiani. Con Gianni Berengo Gardin pubblicano strazianti foto nel libro documento Morire di Classe, edito da Einaudi nel 1969. Questa è una documentazione importante per l’approvazione della legge 13 maggio 1978, n° 180 (nota come legge Basaglia) a favore della chiusura dei manicomi. In Galleria Valeria Bella rimangono impressi nella memoria alcuni scatti intensissimi di volti scolpiti dalla disperazione, bloccati nella loro irreversibile solitudine in un contesto disumano, tratti da questo catalogo curato dallo stesso Basaglia e da sua moglie Franca Basaglia Ongaro. Tra le altre, sconvolge l’immagine divenuta emblematica: l’uomo con le mani sulla testa rasata, accovacciato contro il muro, privato della sua dignità. I due fotografi per questo lavoro sono stati premiati con il Premio Palazzi per il reportage nel 1969.
L’amicizia con il regista Jacinto Estava Grewe, incontrato al festival di Venezia nel 1968, porta Cerati ad esplorare la Spagna franchista, dove scatta i volti degli intellettuali di sinistra che si oppongono alla dittatura ma continuano a vivere in Spagna. Tra gli anni 1968 e 1975, Cerati viaggia e si infiltra nella rete di resistenza intellettuale, dando volto a più di cento personaggi della cultura, tra cui Joan Mirò, Ricardo Bofill, Antonio Gades, Blas de Otero, Juan Antonio Bardem, solo per citarne alcuni. Nel 1973 esordisce con il suo romanzo Un amore fraterno; due anni dopo pubblica Un matrimonio perfetto, finalista al Premio Campiello.
Dagli anni Ottanta, si allontana dalla professione di fotoreporter, disillusa dai meccanismi di un settore governato da logiche opportuniste, ma continuerà a fotografare per se stessa e a condividere con altri autori progetti mirati. Tra gli altri, ricordiamo la serie Tracce, prodotta nel 1986, un libro fotografico che raccoglie immagini di forme involontarie lasciate sul cemento e sulla sabbia. Nel 1990 pubblica La cattiva figlia e ottiene il Premio Comisso; nel 2004 esce il romanzo d’ispirazione autobiografica L’intruso. Cerati muore nel 2016; il suo nome è scritto nel Pantheon di Milano, all’interno del Cimitero Monumentale, ma le sue fotografie sono più vive che mai e continuano a farci riflettere sulla condizione umana in bilico tra verità e rappresentazione di chi siamo stati.