“Repeat after me”; una riflessione d’artista sul Padiglione Polacco ai Giardini della Biennale di Venezia, più attuale che mai, in questa epoca di conflitti che sembrano non dover finire…
Finalmente, ai Giardini, incappo in un lavoro che funziona
È il pubblico che non funziona qui e nemmeno i microfoni.
Questo lavoro è estremamente umano ed estremamente disumano allo stesso tempo.
Persone comuni, una ragazza, un vecchio, diverse donne di mezza età, si presentano poi ripetono i suoni di guerra che hanno sentito ogni giorno per mesi, per anni forse.
Alcuni di loro vivono in un campo profughi, altri vivono già all’estero, spesso in alberghi insieme ad altri profughi.
Ogni persona ci fa sentire il rumore che sentiva.
Carrarmati, sirene, mortai, tornado, shrapnel, allarmi, kalashnikov, bombardamenti aerei, missili X22
Una scheda tecnica che descrive l’arma appare subito dopo che la persona si presenta, anche l’arma si presenta possiamo dire, prima che la persona faccia rumore, sganci il ricordo dalla bocca.
Gli occhi fissi lontani vuoti, tutti.
Boris, Surayama, Inna, Olene, Alla. Si presentano col nome proprio, ripresa in primo piano o davanti ai box in cui vivono temporaneamente o sotto un ombrello, emettono un suono e ripetono meccanicamente fissandoci negli occhi: ripeti con me, ripeti con me. È dura.
Sembra un gioco ma questo gioco non mi piace.
Boris oltre al suono ci spiega che il terreno dopo il bombardamento ti trema sotto i piedi. E ci chiede di ripetere per ricordare.
C’e Gyacinth B. che ci fa sentire come funziona l’artiglieria aerea
BRRRRRRRRR TUH
mentre di fronte una donna coperta da una coperta ci fa sentire qualcosaltro
UUUUUUUUUUUUUUUUUU,
una sirena probabilmente.
Ripeti con me.
Ma il pubblico sta seduto muto, fotografa e proprio poco partecipa.
Dimenticavo di dire che gli schermi sono due uno difronte all’altro alle due estremità del padiglione e davanti a ciascun schermo una fila di microfoni attende pronta il pubblico sull’attenti. Non tutti funzionano.
Ci fissano donne dagli occhi vitrei di chi le bombe le ha viste cadere tante volte e sa cosa succede, prima, durante e dopo.
C’è chi si aiuta con le mani per raccontare le esplosioni, un ragazzo racconta di come in slow motion vedesse una scintilla raggiungere le tende di lino che si muovevano dolcemente nel vento sulla finestra intagliata nel legno della bella casa della nonna, di come le fiamme cadessero sul balcone, lo bruciassero, poi una stanza, dopo l’altra ardesse.
È un ragazzo biondo di 16 anni che ora vive in albergo in Irlanda con altri profughi
Lui ci chiede di ripetere insieme a lui il suono di un tank 22.
Lo stesso che faceva mio figlio qualche giorno fa, giocando coi suoi amici col nerf tra materassi e cuscini, giocando alla guerra.
Ripeti con me.
I protagonisti di questo video sono seri e riproducono seriamente i suoni che hanno sentito. Da bambini li facciamo e basta, da grandi, davanti a un microfono, ci vergogniamo a farli.
Dobbiamo esporci, come si espongono queste persone, persone qualsiasi, che potremmo incontrare al parco, al supermercato, in metrò. Samir infatti vive in Irlanda, Inna a Vienna, Yana è a New York, Maria a Vilnius.
Ripeti con me.
Ieri qualcuno mi ha mandato un post in cui si sentivano i suoni dell’ultimo minuti della prima guerra mondiale. Per cuori forti diceva, per cuori molto forti.
Per un minuto esplosioni poi un uccellino canta.
Ripeti con me.
Noi possiamo essere la loro voce se lo scegliamo.
I loro sono suoni di come si vive, di come si sopravvive, in guerra.
Ripeti con me.
Questo è un karaoke.
Questi sono suoni che non vorremmo mai sentire, mai.
Mi alzo per uscire
Nel padiglione oltre a gabelli e tavolini pieghevoli con sgabelli e casse d’acqua, mi chiedevo che ci facessero li. Poi su di tavolino ho visto un foglietto, che dice what else should you know when you are under fire?
Sono istruzioni, come quelle per l’atterraggio in aereo, solo che insegnano a stare sotto i bombardamenti.
Esco, erba, cielo e Venezia e ringrazio.