Il Comune di Brescia, la Fondazione Brescia Musei e il Festival della Pace presentano Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, la prima mostra personale in Italia dell’artista, curatore e attivista sudanese Khalid Albaih. L’esposizione, curata da Elettra Stamboulis, sarà aperta al pubblico fino a domenica 23 febbraio 2025 negli spazi del Museo di Santa Giulia.
L’evento si inserisce nel contesto del Festival della Pace di Brescia ed è una nuova tappa del percorso, iniziato nel 2019 da Fondazione Brescia Musei, dedicato all’arte contemporanea e ai diritti umani. La direttrice della fondazione, Francesca Bazoli, sottolinea come Brescia Musei non disponga di una sezione specifica per l’arte contemporanea e come questo ciclo di mostre sia stato fondamentale per colmare tale lacuna, creando uno spazio per artisti che raramente accedono ai circuiti museali tradizionali.
Khalid Albaih, uno degli artisti sudanesi più influenti, rappresenta simbolicamente la condizione di molti suoi connazionali. Nato in Romania, figlio di un diplomatico sudanese, è cresciuto a Doha, negli Emirati, costruendo il suo percorso artistico da esule. La sua arte, espressa principalmente attraverso disegni politici condivisi online, può essere definita art-ivismo contemporaneo, Albaih utilizza le sue opere per dare voce a chi non ce l’ha, raccontare crisi umanitarie e trasmettere messaggi di resilienza e speranza. La sua produzione dimostra il potere dell’arte, unita a Internet, di abbattere barriere culturali e connettere il mondo.
La mostra si ispira al romanzo sudanese La stagione della migrazione a Nord di Tayeb Salih, un manifesto per l’identità sudanese che funge da filo conduttore. Il tema dello spaesamento e della ricerca di sé è centrale nell’allestimento, che si apre con un’installazione intima che evoca la casa dell’artista. La casa, distrutta dalla guerra, rappresenta per Albaih un luogo di memorie d’infanzia, calore familiare e perdita. Le milizie, infatti, distruggevano sistematicamente gli archivi familiari. Una delle installazioni più toccanti è Toub, che richiama le stoffe tradizionali sudanesi: simbolo della bellezza e delle tradizioni familiari, ma anche dei traumi legati alla violenza del conflitto.
Un altro punto forte è l’installazione Camp, che simula un campo profughi fatto di tende a forma di passaporti. Ogni passaporto racconta la storia di sei migranti incontrati da Albaih a Brescia, evidenziando la disparità di potere legata ai documenti di viaggio. Il passaporto, solitamente simbolo di libertà di movimento, diventa ininfluente per i migranti. La tecnologia, come i telefoni cellulari, rappresenta invece l’unico mezzo per superare i confini. Questo strumento è centrale anche nell’arte di Albaih, che riesce a veicolare messaggi diretti e provocatori – in immagini accattivanti ma mai feroci – grazie alla rapidità di diffusione dei social media.
La curatrice Elettra Stamboulis sottolinea l’importanza di pensare globale e agire locale, un principio che guida queste mostre. L’arte, afferma, non solo riflette le vite delle persone, ma ha il potere di cambiarle, costruendo connessioni e promuovendo una conoscenza più profonda tra culture.
Albaih considera questa mostra una delle sue più grandi esibizioni, che riassume dieci anni di lavoro. Per lui, attraversare confini, fisici e virtuali, significa connettersi con le persone e abbattere barriere. La mostra diventa così un’occasione per far dialogare Sudan e Italia, offrendo uno spazio di condivisione e riflessione comune. Il percorso espositivo si conclude con i disegni realizzati a Brescia e altre opere digitali legate sia al Sudan sia a temi internazionali. Le grafiche, esposte nella loro forma originale, testimoniano l’immediatezza della comunicazione digitale. L’artista ha firmato ogni opera stampata su tela di lino, ricordando come la rete sia stata il suo primo e più importante spazio espositivo.
Questa mostra invita a guardare la realtà, spesso ignorata, invita a non voltare le spalle a situazioni disumane che rischiano di diventare routine per la nostra coscienza. Anche se da decenni ascoltiamo notizie di disastri umanitari, non possiamo permettere che l’orrore della guerra e dell’ingiustizia diventino normalità. Khalid Albaih, nella sua condizione di “privilegio” rispetto a molti suoi connazionali, non si tira indietro: utilizza la sua arte per superare confini che molti sudanesi non possono ancora attraversare. Una delle sue missioni è offrire loro la possibilità di essere liberi, di lavorare, di avere una famiglia, di vivere la vita che ogni essere umano dovrebbe poter avere.