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“Sognare” in vetrina: Marcella Vanzo e Domenico Antonio Mancini

Marcella Vanzo, Sognare, Ph. F. Romano
Marcella Vanzo, Sognare, Ph. F. Romano
Nello spazio SCONFINA, a Milano, una notte speciale in cui si sono incontrate le azioni di due artisti: Sognare, la performance di Marcella Vanzo, ospite dell’installazione Sei Dieffenbachia di Domenico Antonio Mancini

È già buio a Milano, la notte ha oscurato la città che in un freddo sabato sera non vuole spegnersi. È la notte tra il 23 e il 24 novembre. Una notte in cui ognuno cerca qualcosa o qualcuno. Siamo in via Aleardi 11, un’ex agenzia immobiliare, spazio anonimo del quotidiano urbano che si trasforma in un luogo sospeso, grazie alla performance Sognare di Marcella Vanzo ospite dall’installazione Sei Dieffenbachia di Domenico Antonio Mancini. Nella stessa Milano dove il sabato sera è scandito dal rumore di tacchi ambiziosi, chiacchiere animate e persone che cercano di rubare alla notte ore preziose, qualcuno ha scelto il silenzio, l’immobilità e l’introspezione come strumenti per comunicare.

L’azione performativa, parte del progetto SCONFINA promosso da Rossana Ciocca ed Helga Franza con il supporto della Fondazione Arthur Cravan, si è aperta alle 20 in punto. Un giovane entra ed esce dalla corte dello stabile a fianco e con movimenti delicati e misurati, inizia a comporre un letto nella vetrina dell’ex agenzia. Tra le Sei Dieffenbachia di Mancini, illuminate da una scritta al neon, il letto ha preso forma poco a poco: prima il materasso, poi un cuscino accuratamente posizionato, le coperte rimboccate e una sontuosa trapunta in velluto bordeaux che, sotto la luce rossa della vetrina, risplende in contrasto con il buio della città creando un’immagine surreale e fiabesca.
Quando tutto è pronto, arriva — anche lei lentamente — Marcella Vanzo, accompagnata da due stampelle. Con gesti deliberati, si chiude all’interno della vetrina, immergendosi in un dialogo silenzioso con l’opera di Mancini e con lo spazio urbano circostante. L’artista, come simbolo di un’urgenza universale e intima, si è addormentata in quel luogo trasformato, offrendo una riflessione che andava ben oltre il mondo dell’arte.

Marcella Vanzo, Sognare, Ph. F. Romano

La forza di Sognare risiede nella sua semplicità apparente e nel legame condiviso col messaggio radicale dell’installazione: il diritto alla casa, allo spazio personale, al sogno. Questo diritto, affermato in una scritta al neon che domina la vetrina—Lotteremo, l’otterremo, la terremo—è un invito alla resistenza e alla rivendicazione.
L’insegna sopra l’ex agenzia, anch’essa violata da un messaggio di lotta scritto a spray da Mancini — La casa è di chi l’abita — fa da cornice a un gesto artistico che non si è limitato a coinvolgere i professionisti del sistema dell’arte contemporanea meneghina. La performance ha catturato l’attenzione di passanti casuali: giovani in cerca di una serata memorabile, coppie che tornavano a casa, lavoratori a fine turno, un bambino che tira la mano della madre e grida sbalordito “Mamma Mamma guarda! C’è la bella addormentata.” Tutti, almeno per un momento, si sono fermati, attratti e spiazzati da quella scena surreale: una donna che dormiva dietro una vetrina, circondata da piante e da un’atmosfera di intimità sconosciuta ma al contempo familiare.

Marcella Vanzo, Sognare, Ph. F. Romano

Marcella Vanzo descrive il gesto come “un’urgenza.” Le dieffenbachie, che popolano lo spazio della vetrina, non sono scelte a caso: piante domestiche per eccellenza, per lei rappresentano il legame con l’infanzia e con l’idea di casa come rifugio. Ma quel rifugio è sempre più fragile, un diritto che spesso viene negato. Sognare si pone quindi come un atto politico, oltre che poetico. È un grido silenzioso che rivendica uno spazio, una casa, un luogo dove sognare non sia un lusso, ma un diritto fondamentale.
La performance fa parte del ciclo L’atlante dei gesti di Marcella Vanzo, un progetto che l’artista descrive come “radiografie dell’anima, immagini improvvise e lancinanti che nascono dalle ingiunzioni dell’inconscio e dalle condizioni mutevoli del presente.” Collaborativo per natura, il lavoro di Vanzo esplora la vulnerabilità e la fiducia, rivelando una forza comunicativa che risuona profondamente con il pubblico.

Il messaggio di Domenico Antonio Mancini nell’ex agenzia immobiliare di via Aleardi 11, coi graffiti di protesta, le piante e le sue vetrine trasformate, per una notte si amplifica e diventa ancora più forte. In quella piccola stanza riempita di flora e luce, Marcella Vanzo riafferma che l’arte contemporanea può farsi carico delle urgenze del nostro tempo, trasformando qualsiasi spazio in un catalizzatore di riflessione.
“Io voglio stare lì dentro. Come? Sognando. Sognando per una notte.” Le parole dell’artista si fanno eco della necessità di tutti noi di trovare un luogo, fisico o metaforico, in cui poter abitare i nostri sogni. E mentre Milano continua a muoversi frenetica, qualcuno, quella notte, ha scelto di fermarsi e di sognare.

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