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Il Sole allo Zenit #31: Dipinto sotto l’influenza degli Spaghetti n. 7

Martin Kippenberger, Postcard per la mostra a Villa Arson, Nizza, 1994, 14,5x10,5 cm
Martin Kippenberger, Postcard per la mostra a Villa Arson, Nizza, 1994, 14,5×10,5 cm
Esistono artisti divertenti? La risposta è si, e ne abbiamo le prove: stavolta sotto la lente de Il sole allo zenit è il mitico Martin Kippenberger

La prima volta che sono tornato addirittura a rivedere una mostra il giorno successivo è stato con Martin Kippenberger all’Hamburger Bahnof di Berlino. A voi sarà capitato altre volte di visitare la stessa esposizione, e a me pure, ma di ritornare il giorno dopo fa piuttosto impressione. Sarà che quella mostra mi divertì parecchio e continuai a pensarla per tutto quel tempo, sarà che in Italia la sua ricerca si è sempre vista poco, fatta eccezione per la personale allo studio Marconi nel 1990 e per la retrospettiva del Castello di Rivoli pochi mesi dopo la sua scomparsa, e qualche altra presenza alla Biennale di Venezia e in altre rassegne che sicuramente sfuggono alla mia improvvisata lista. Sarà poi che ha prodotto talmente tanto che cercare di capire il suo percorso è come pensar di ricomporre la bicicletta di Tati nella famosa fotografia a Parigi di Robert Doisneau.

Robert Doisneau, Jacques Tati, Paris, 1949, gelatin silver print, 11 3/8″ x 9 3/8″, Paper – 16″ x 12″, Matted

D’altronde Martin, creativo vero, provò a far quasi di tutto, anche il ballerino. Inoltre fu decoratore, artista, attore, scrittore, organizzatore di spettacoli, di concerti e di mostre, editore, musicista, insegnante, imprenditore nel settore della ristorazione e in una stazione di servizio, creatore di museo e chissà che altro. Visse poi in mezzo mondo: Dortmund, Essen, Amburgo, Colonia, Firenze, Berlino, Los Angeles, New York, Parigi, Knokke, Vienna, e per certi periodi nella penisola Scandinava, in Spagna, in Brasile e nella foresta Nera, soggiornando per lo più in camere d’albergo o da qualche amico in casa. Noto fiume in piena, produsse ovviamente con tutti i media: quadri, disegni, sculture, musica, video, libri eccetera eccetera. Che sfilza. Ma non voglio approfittare ulteriormente del vostro tempo, come diceva l’avvocato Agnelli quando voleva congedarsi, che la sua biografia è ormai storia. Avete presente la fine di Divorzio all’italiana? Con Mastroianni con i baffetti che fa fuori la moglie per mettersi con la cugina ma, quando realizza il suo sogno a pena scontata, lo si vede in barca con lei, giovane e bella, che mentre lo bacia fa il piedino al capitano della barca? Se la sua ricerca fosse un film, potrei quasi riassumerla con quella scena.

Martin Kippenberger, Forgotten Interior Design Problems in LA (El Pueblo del la Reina de Los Angeles), 1996, Poster

Ma per essere più esaustivo ancora, provo a passare in rassegna veloce i titoli di alcune sue opere che, tagliando la barba al profeta, offrono uno spaccato obiettivo della sua ilare parabola. Appellativi tipo “Caro pittore dipingimi” riguardano un gruppo di dipinti realistici con immagini e ritratti eseguiti da artisti diversi, mentre “Uno di voi, un tedesco a Firenze” è una serie costituita da 54 quadri in bianco e nero, da 50×60 cm ciascuno, che si sarebbe dovuta concludere quando le tele, messe un sull’altra, avrebbero raggiunto i 189 cm, ovvero la sua totale altezza. L’obiettivo fallì di 10 cm almeno, e chissà quale fu il motivo, ma le opere vennero appese al Paris Bar di Berlino in cambio di pasti gratuiti in aeternum per due persone a digiuno.

Martin Kippenberger, Martin, Stand in the Corner and Be Ashamed of Yourself, 1992, Cast aluminum, clothing, and iron plate, 181.6×74.9×34.3 cm

Dagli anni Ottanta in poi dipinse “Le pezze di flanella impedite”, “Ma cosa succede mai la domenica”, “Nessunissima voglia di idee”, “Tits, towers, tortellinis”, “Non sapere perché ma sapere per cosa”, “Dipinto sotto l’influenza degli Spaghetti n. 7”, “Chi sotterra resta solo”, “Peccato che Wolf non possa più vivere questa cosa”, le serie “Montagne di reddito” e “Montagne di costi”, “8 quadri per riflettere se può andare avanti così”, “Oggi pensare – domani finito”, “Anche lei vuole il bene delle persone”, “Ancora le aringhe non costano troppo”, “Abbasso il bonus per i Sassoni”, “Ma la guerra è davvero cattiva?”, “Cancro o carie” e “Andare a casa non vale”, perchè in effetti lui, di dormire, non ne voleva sapere. E anche i titoli delle mostre non sono da meno, vedasi “Affitto Luce Gas” dell’Hessisches Landesmuseum, di Darmstadt, o quelli dei suoi infiniti libri, tipo “Chi non ama questo catalogo farebbe meglio ad andar dal medico” per il group show allestito da Max Hetzler a Stoccarda, nei primi anni Ottanta.

Martin Kippenberger, cover of the catalogue If you don t like this Catalogue, you must see a Doctor immediately, Max Hetzler Gallery, Stuttgart, 1983

Dissacrante fino alla fine, vendette uno dei suoi quadri assemblati con incluso un vero dipinto grigio di Gerhard Richter montato come piano di un tavolo per la metà del valore dell’opera e distrusse i quadri dipinti dal suo assistente Merlin dopo averli fotografati, vendendoli per lo stesso valore delle fotografie e appellando l’operazione “Kippenberger come artista concettuale”.
Quella mostra berlinese s’intitolava invece “Sehr gut | Very good”, ricadeva nell’anno in cui Martin avrebbe compiuto 60 primavere e comprendeva opere che mi rimasero nel cuore come “Martin, vai all’angolo e vergognati di te stesso”, “Souvenirs”, il lampione curvo che fuoriesce dalla parete e un film del 1978 di Gisela Stelly in cui Kippenberger compare soltanto ma che contribuì a realizzare. S’intitola “Amore e avventura” e Martin figura come un’impassibile guardia, con trucco bianco e un trench di pelle, che partecipa a un esilerante siparietto alla stazione della U-bahn, sulle note di “Yes Sir, I Can Boogie”, mentre alcuni suoi colleghi si lanciano una palla di carta e la diciassettenne Brigitt Hoffmeister osserva. Ancora oggi, quando riascolto quel pezzo, rido di gusto.

Martin Kippenberger, Self portrait, black and white photo

E anche se mi rendo conto che con questo breve testo il tentativo di esaurire tutto Martin Kippenberger è totalmente inappropriato come invece riuscì a Georges Perec per quel noto luogo parigino, tengo però a confermare quella speranza che Martin aveva e che ho recentemente letto in una sua intervista: che le persone continuassero a parlare di lui e che si potesse dire un giorno che “Kippenberger era divertente” da morire. Di seguito la mia risposta:
eccome!

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni

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