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Parigi. Una collettiva di artisti italiani indaga le cose che non sappiamo

Sofia Silva, 2024, Paesotto, Matita, acrilico, gesso, colla PVA neutra su tela, 35 x 45cm Photo credit Matteo Danesin
Andrea Barzaghi, 2023, Storia degli uomini che decisero di diventare pietra, olio su tela, 190×145 cm, Courtesy Société Interludio

Dal 1° febbraio al 1° marzo, la Galleria Romero Paprocki presenta la mostra Le cose che non sappiamo, con tredici artisti italiani attivi tra l’Italia e la Francia che esplorano la tensione tra ciò che possiamo conoscere e ciò che ci sfugge, tra certezza e mistero. A cura di Rossella Traverso.

Ci sono cose che sfuggono alla nostra comprensione, spazi inesplorati che abitano la soglia tra il visibile e l’invisibile. Le cose che non sappiamo si addentra in questa dimensione liminale, creando un dialogo tra le opere di tredici artisti italiani attivi tra Italia e Francia”, scrive Giorgia Aprosio nel testo critico della mostra che la Galleria Romero Paprocki si appresta a inaugurare a Parigi.

Intitolata Le cose che non sappiamo, l’esposizione riunisce tredici artisti italiani, attivi tra l’Italia e la Francia, che esplorano la tensione tra ciò che possiamo conoscere e ciò che ci sfugge, tra certezza e mistero. Attraverso pittura, scultura e installazione, Beatrice Alici, Andrea Barzaghi, Claudio Coltorti, Giuseppe Lo Cascio, Giulia Mangoni, Matisse Mesnil, Pietro Moretti, Lulù Nuti, Marta Ravasi, Luca Resta, Luca Rubegni, Erik Saglia e Sofia Silva decostruiscono i processi di conoscenza e pongono l’accento sull’immagine, sul segno, prima ancora che l’opera venga interpretata. Interrogano il mondo e l’invisibile con una consapevolezza tacita: le cose, per loro natura, sfuggono a una comprensione totale.

Attingendo di nuovo dal testo di mostra di Aprosio, leggiamo:

Esiste un percorso già tracciato, che siamo soliti intraprendere per comprendere la realtà, o almeno per avvicinarci ad essa. Massimo Cacciari lo riassume così: «Noi possediamo la cosa quando ne abbiamo l’idea» (Della cosa ultima, Adelphi, Milano 2004, p. 443). Questo processo solitamente inizia dal nome (ónoma), il primo segno con cui indichiamo e nominiamo le cose. Poi passa al logos, il discorso che ne definisce le proprietà con parole e concetti, e culmina nell’eídolon: l’immagine che rende finalmente visibile l’idea, prima solamente astratta.

Le opere in mostra decostruiscono questo processo, procedendo in qualche modo a ritroso. Non iniziano dal nome né dalla definizione: il loro punto di partenza è piuttosto l’eídolon, l’immagine, che si impone ai sensi prima ancora di essere interpretata.

L’arte, d’altronde, non esiste per possedere ciò che rappresenta, ma per interrogare. È una costruzione mentale, una rilettura, un atto che accetta in sé l’ignoto non tanto come un enigma da decifrare, ma come un campo fertile di meraviglia.

Sofia Silva, 2024, Paesotto, Matita, acrilico, gesso, colla PVA neutra su tela, 35 x 45cm Photo credit Matteo Danesin
Giuseppe LoCascio, 2023, Torre, Ferro e Cartelline, 310x160x100, Ph Credit Giorgio Benni
Lulù Nuti, 2024, La Timida, ferro battuto, 139x74x67cm, courtesy Galerie Chloe Salgado, Photo credit Gregory Copitet

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