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Entrare in una mostra come Indagine di una piega di Eva Chiara Trevisan equivale a essere invitati in un luogo in cui il colore e la materia non solo si incontrano, ma sembrano dialogare incessantemente, mettendo in scena un confronto intimo e vibrante tra pittura e scultura. Nata a Treviso e profondamente influenzata dall’eredità visiva e atmosferica di Venezia, Trevisan trasforma la galleria 10 & zero uno in un teatro di superfici, un palcoscenico in cui ogni piega, ogni increspatura cromatica si fa protagonista.
C’è un dialogo tra epoche nel lavoro di Trevisan: l’eco del panneggio rinascimentale, con la sua enfasi sul sublime e sull’umano, si incontra con un approccio contemporaneo che libera la pittura dai limiti della tela. La serie Lo que toco non è solo un omaggio alla tridimensionalità, ma un vero e proprio manifesto: la pittura qui diventa scultura, il tessuto pittorico prende vita e diventa palpabile. È come assistere alla fuga di un’idea – un colore, una piega – dal suo contenitore originario verso una nuova libertà.
L’approccio di Trevisan richiama inevitabilmente il concetto deleuziano della piega barocca: una tensione costante tra ordine e movimento, tra ciò che è contenuto e ciò che si espande verso l’infinito. In opere come Orogenesi e Strato D, la stratificazione della materia diventa una metafora potente. Qui la superficie racconta non solo la storia del gesto artistico, ma anche quella del tempo, della terra e del corpo. Le sue pieghe sembrano essere registrazioni geologiche di un atto creativo, un segno che attraversa epoche e dimensioni.
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C’è, tuttavia, una dimensione personale e filosofica che arricchisce queste opere. Ogni piega racconta una storia; ogni strato di acrilico è il risultato di un’esperienza vissuta, una riflessione, una memoria. Come scriveva Georges Didi-Huberman, il panneggio è capace di animare l’inanimato, ed è proprio questa la chiave del lavoro di Trevisan: ogni elemento è un frammento di qualcosa di più grande, un’eco della storia che continua a risuonare nel presente.
Venezia, con la sua storia unica e i suoi toni mutevoli, è la musa che aleggia silenziosa sulle opere di Trevisan. Eppure, il suo approccio va oltre l’omaggio. Venezia non è un modello, ma un interlocutore, una città da decostruire e reinventare. Le sue pieghe pittoriche sono sospese tra passato e presente, tra il ricordo e l’innovazione. Questo dialogo continuo tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere rende il suo lavoro un’esperienza al contempo intima e universale.
Indagine di una piega è una mostra che non si accontenta di essere guardata; invita a essere vissuta. Le sue opere non si limitano a decorare lo spazio, ma lo trasformano in un luogo di riflessione, dove il gesto umano si cristallizza in qualcosa di eterno. È arte che ci tocca, che ci spinge a vedere il potenziale infinito della materia e il suo dialogo con il tempo. Gilles Deleuze, oltre al concetto di piega barocca, ha esplorato come il movimento e la trasformazione siano alla base di ogni forma d’arte, spingendo a ripensare i limiti della rappresentazione. Forse è questa tensione dinamica che rende il lavoro di Trevisan così vibrante e contemporaneo.