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Lo scandalo dei “Falsi” che ha coinvolto Re Carlo III

The Royal Stunt svela questa complessa storia di contraffazioni, dipinti scomparsi e travisamenti. PA Images / Alamy Stock Photo. Simon Dawson / No 10 Downing Street
The Royal Stunt svela la complessa storia di contraffazioni, dipinti scomparsi e travisamenti. Credits: PA Images,  Simon Dawson
Un intreccio di arte, inganni e scandali reali si dipana nel nuovo documentario The Royal Stunt, diretto magistralmente da Kief Davidson. Al centro della vicenda, un clamoroso caso di falsificazione artistica che ha visto protagonista James Stunt, facoltoso uomo d’affari britannico, e una collezione di dipinti contraffatti che hanno ingannato persino l’attuale Re Carlo III.

Era l’11 febbraio 2017 quando il principe Carlo, allora erede al trono, scriveva una lettera di sentito ringraziamento a James Stunt per aver prestato ben 17 dipinti alla Dumfries House, la sontuosa residenza scozzese salvata dal futuro sovrano nel 2007 e oggi parte della King’s Foundation. Il messaggio, corredato dallo stemma ufficiale di Clarence House, esprimeva grande entusiasmo per la qualità delle opere, tra cui spiccavano presunti capolavori di Van Dyck, Monet, Salvador Dalí, Chagall e Picasso.

“Caro James, non puoi immaginare l’emozione nel vedere questi dipinti, in particolare i due Van Dyck. Sarà una grande gioia averli a Dumfries House”, scriveva Carlo. La sua firma, “Cordiali saluti, Charles”, sigillava un riconoscimento ufficiale che sembrava suggellare l’autenticità delle opere. Ma la realtà era ben diversa.

L’intera collezione si rivelò in gran parte un falso. Molte delle opere prestate da Stunt erano state realizzate dal noto falsario Tony Tetro, un artista già condannato per contraffazione. Tetro, protagonista del documentario, racconta di aver inizialmente realizzato le opere per Stunt, senza sapere che sarebbero state spacciate per autentiche e prestate alla residenza reale. Durante una visita a Londra, scoprì la verità osservando documenti che ne certificavano falsamente la provenienza.

The Royal Stunt ripercorre meticolosamente la vicenda, portando alla luce dettagli inediti. Il film alterna le rivelazioni di Tetro alle invettive di Stunt, noto per i suoi eccessi, tra confessioni di uso di cocaina e frequentazioni di escort. L’ex playboy, che con orgoglio mostrava agli intervistatori le sue lettere incorniciate dal principe Carlo, aveva costruito un castello di carte attorno alla sua presunta collezione d’arte. Le lettere reali erano autentiche, ma le certificazioni che accompagnavano i dipinti erano frutto di un inganno orchestrato ad arte.

Il documentario racconta anche il ruolo chiave dei giornalisti del Mail on Sunday, che hanno contribuito a smascherare la truffa collaborando con i registi. Attraverso interviste alla guardia del corpo e all’ex capo della sicurezza di Stunt, emergono dettagli inquietanti sulle operazioni finanziarie del magnate. Il piano di Stunt, secondo l’inchiesta, era di attribuire valori esorbitanti ai dipinti falsi per ottenere prestiti milionari. Un broker d’arte racconta di aver tentato di piazzare le opere, solo per scoprire che la valutazione di 300 milioni di dollari era pura fantasia.

L’affare è stato definito “estremamente deplorevole” dalla Prince’s Foundation, che ha dichiarato di aver restituito tutte le opere a Stunt. Tuttavia, tre dei dipinti di Tetro risultano ancora scomparsi, e il controverso collezionista nega di averli trattenuti. Resta un mistero anche il ruolo di Malcolm Rogers, ex direttore del Museum of Fine Arts di Boston, che avrebbe contribuito ad aumentare il valore di alcune opere con valutazioni discutibili. Né Michael Fawcett, ex aiutante del principe Carlo, né Clarence House hanno voluto rilasciare dichiarazioni in merito.

Ciò che resta più scioccante è il modo in cui una truffa di tale portata sia riuscita a passare inosservata. Come è possibile che Re Carlo III e i suoi consiglieri siano stati ingannati così facilmente? Con una delle collezioni d’arte più vaste al mondo a disposizione, Dumfries House non aveva certo bisogno di prestiti di dubbia provenienza. Il documentario lascia aperti interrogativi inquietanti: chi avrebbe dovuto vigilare? E quanti, invece, hanno preferito distogliere lo sguardo?

“Indagare su questa storia è stato un viaggio affascinante, con continui colpi di scena”, afferma il produttore Giampiero Ambrosi. “Quello che mi colpisce di più è come le persone che avrebbero dovuto denunciare abbiano, invece, cospirato o semplicemente ignorato ciò che accadeva”.

Un caso di frode artistica che si trasforma in un thriller, rivelando le fragilità di un sistema che, anche ai più alti livelli, può cadere vittima di una ben orchestrata illusione.

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