
L’opera di Richard Avedon torna a Roma con Italian Days, una mostra alla Gagosian che riunisce oltre venti fotografie, tra scatti inediti dell’Italia post-bellica e ritratti iconici. A cura di Cécile Degos, Italian Days esplora le corrispondenze tra le immagini realizzate in Italia negli anni Quaranta e quelle successive, fino agli anni Novanta. Per le strade di Roma, della Sicilia e di Venezia Avedon ha immortalato un’Italia sospesa tra bellezza e devastazione.
Il legame tra Richard Avedon e l’Italia iniziò nel dopoguerra, quando il paese era ancora in fase di ricostruzione. In mostra la serie Italy (1946–48), esposta per la prima volta completamente e alcune fotografie della performer di strada romana Zazi, di una serie del 1946. In una Roma contemporanea, le immagini in bianco e nero di Avedon ci riportano indietro nel tempo, tra le risa, le storie e le malinconie impresse nei suoi scatti, tra persone comuni e celebrità.

Lo sguardo di Richard Avedon sull’Italia del dopoguerra
Nel 1946 Richard Avedon arrivò in un’Italia distrutta, profondamente segnata dalla guerra. Le bombe avevano distrutto città, porti, ferrovie, ponti, strade. Le macerie riempivano interi quartieri di città e la gente viveva tra penuria di cibo, scarsità di beni necessari, mercato nero, razionamento e disoccupazione; a questo si aggiungeva un problema abitativo enorme con milioni di persone senza casa. Nonostante ciò, si poteva respirare tutta la vitalità della ricostruzione che animava le strade desolate e i quartieri. In Italy #2, Trastevere, Rome, July 24 (1946) della serie “Italy”, gli occhi dei bambini tra le strade di Trastevere mirano dritti all’obiettivo, curiosi, vivaci e leggeri. Tra nord, centro e sud Richard Avedon viaggiava nella Penisola, in un’esplorazione che si rivelò cruciale per lo sviluppo del suo stile.
La serie “Italy”
“Italy” è la serie realizzata nella Penisola del dopoguerra, tra il 1946 e il 1948 e per la prima volta è possibile apprezzarla nella sua interezza con l’occasione della mostra Italian Days alla Gagosian. All’epoca, Avedon era un giovane fotografo che da poco aveva cominciato la sua collaborazione con l’Harper’s Bazaar. In Italia documentava una realtà sociale in cui il contrasto tra miseria e bellezza si rifletteva nei suoi bianchi e neri, in composizioni semplici e dirette, con inquadrature ampie in cui i soggetti si mostravano insieme al loro contesto. Vicino ai monumenti, testimoni indistruttibili e senza tempo, c’erano i sopravvissuti che cominciavano una seconda vita: la donna in Italy #3, Rome, July (1946), bambini in Italy #11, Piazza Navona, Rome, July 24 (1946).

I ritratti di Avedon: persone comuni e celebrità
Negli anni Quaranta, Avedon plasmava il suo stile fatto di un bianco e nero con contrasti forti e luci naturali, giochi di luci e ombre, sfondi neutri su cui spiccano i soggetti, senza artifici. A questo si aggiungeva l’empatia del fotografo, quella capacità di costruire un ponte emotivo tra dietro e davanti l’obiettivo. In Italian Days quest’aspetto si coglie perfettamente nei tre ritratti femminili, esposti vicini, della donna romana, di Ruby Holden e di Marilyn Monroe. La prima, una figura anonima, si mostra in tutta la sua dignità silenziosa, con il volto segnato dalle difficoltà del dopoguerra, lo sguardo intenso e resistente. In uno scatto Avedon trasforma una persona comune nel simbolo di un sentimento di un’epoca. Invece, Marilyn Monroe svela il suo lato vulnerabile: distante dall’immagine patinata, leggera e spensierata nella cornice hollywoodiana, la diva si mostra al fotografo introspettiva, quasi malinconica. Nel ritratto degli anni Ottanta di Ruby Holden Avedon mostra il suo approccio maturato: mantiene l’attenzione ai dettagli del volto, alla luce modellante, sviluppa la capacità di stabilire un rapporto intimo con il soggetto. Dal suo autoritratto messo di fianco a quello di un giovane siciliano intuiamo il suo sapersi servire dello stesso linguaggio visivo per catturare da una parte l’innocenza della giovinezza, dall’altra la complessità dell’esperienza adulta.

Movimento, danza, performatività
Le braccia piegate in un movimento danzereccio, la spontaneità di un sorriso incontenibile, lo sguardo compiaciuto: il ragazzo siciliano di Italy #8, Palermo, Sicily (1947) in qualche modo preannuncia l’attitudine che Richard Avedon avrebbe portato nella fotografia di moda e di performance. In particolare, questa rilevanza della dinamicità trova una significativa espressione nei ritratti di strada, come la serie dedicata alla performer romana Zazi le cui fotografie inedite del 1946 vengono per la prima volta esposte al pubblico in questa mostra. L’espressività di Zazi è immediata, a parlare è il linguaggio del corpo che, tra i vicoli della Roma nel dopoguerra, si fa simbolo di una vitalità irriducibile che emerge dalle macerie. Queste fotografie sono anticipatrici di quell’interesse che Avedon avrebbe nutrito per i soggetti marginali e non convenzionali, dimostrando che la performatività del corpo è un linguaggio universale.
Nei celebri ritratti di Dorian Leigh il suo muoversi è come fluttuare nello spazio, nelle iconiche immagini di Audrey Hepburn il movimento è invece suggerito nell’immobilità della sua eleganza: la fascinazione di Avedon per il corpo in movimento si declina in diverse espressioni. Il ritratto di Rudolf Nureyev è un altro esempio: il ballerino viene catturato in un istante di tensione muscolare che racchiude insieme la potenza e la grazia della danza classica. Così, dai performer di strada, alle dive, alle celebrità, Richard Avedon dimostra la sua straordinaria capacità di cogliere l’essenza del movimento, trasformando l’istante in un racconto più ampio sulle infinite possibilità espressive del gesto umano.
Richard Avedon e la sua esperienza italiana alla Gagosian
L’esperienza italiana di Richard Avedon ha rappresentato un momento fondamentale per la definizione del suo linguaggio fotografico. Sul finire degli anni Quaranta, nell’Italia post-bellica, tra le macerie di una nazione distrutta ma già in fermento, Avedon ha scoperto quella profondità emotiva di cui ha fatto tesoro. «L’Italia, con il suo cuore spezzato e il suo spirito indomito, ha indicato la strada», scrisse il fotografo anni dopo. Negli sguardi veri e dignitosi della gente comune, tra le strade polverose, Avedon sviluppò quella sensibilità che gli avrebbe permesso di umanizzare ogni soggetto. Nei suoi ritratti, ogni soggetto è spoglio della sua aura artificiale, si confessa, autentico e disarmato in uno scatto che cattura la persona oltre il personaggio.
A cura di Cécile Degos, l’allestimento di Italian Days alla Gagosian di Roma celebra proprio il legame indissolubile tra la visione artistica di Richard Avedon e l’Italia. La mostra riporta simbolicamente lo sguardo là dove tutto ebbe inizio e si inserisce in continuità con Iconic Avedon: A Centennial Celebration of Richard Avedon, l’esposizione del 2024 nella sede parigina della galleria. Da quando Gagosian è diventata rappresentante del lavoro di Avedon nel 2011 si è impegnata nella valorizzazione del suo lavoro, in collaborazione con la Richard Avedon Foundation, portando alla luce aspetti meno noti del fotografo e mostrando al pubblico italiano opere inedite. Di nuovo a Parigi tornerà Avedon ma in dialogo con un altro grande maestro, nella prossima mostra alla Fondation Henri Cartier-Bresson che inaugurerà nel mese di aprile. Italian Days è un’occasione per scoprire come Richard Avedon abbia trovato la chiave del suo linguaggio espressivo, tra le contraddizioni e la bellezza dell’Italia – fino al 30 maggio presso la sede romana della Gagosian, in via Francesco Crispi.