
Quando le ideologie entrano in conflitto con l’arte. Una nuova riflessione dell’artista Bruno Ceccobelli (continua dalla prima parte “Il dio politico”)
Alla fine degli anni Ottanta, il famoso artista e regista americano Julian Schnabel rilasciò un’intervista a Flash Art dove confessò che gli piaceva dipingere come “mangiare una bistecca con una mazza da baseball”! Subito mi è venuto in mente come Julian sia stato un antesignano e maestro del “bello” di Trump… il bisteccone americano potrebbe tranquillamente dipingere usando i piatti rotti!

In fondo è molto più entusiasmante e facile per gli infanti rompere, scatenare i propri mostri, piuttosto che faticare per costruire e convincere tutti ad amarsi incondizionatamente! Assistiamo esterrefatti ad una società, la nostra, concettualmente catatonica, si palesa alla stregua di uno show di creature anomale che, sfortunatamente, da tempo, peggiorano e che nel prossimo futuro saranno sempre più cibo per il caos.
Una classe politica mondiale divenuta un non-luogo pieno di non-sense, priva di pietà. Questo è il baratro antropologico attuale procurato dal nostro materialismo storico, ma considerato pratico; un funzionalismo capitalista con il quale abbiamo disgraziatamente ottenuto una società bulimica, devota ad un edonismo narcisistico sostenuto da una filosofia anoressica, atea.
Abbiamo atavici “poteri forti” amministrativi, psicopatologici a causa di un padre-padrone sadomaso: il razionalismo, una madre santissima: la scienza senza coscienza, con una figlia prediletta: la tecnica aliena; questi scellerati congiunti sono alacremente al servizio delle attività speculative industriali di quell’antimaterico moloch, principe del mondo; questi “famigli” antiambientalisti odiano le religioni, la cultura e l’arte.
Nel 1817 il poeta germanico Heinrich Heine scrisse: “Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”… i suoi libri vennero bruciati dai nazisti nel 1933. Un altro aforisma del caotico poeta dadaista Tristan Tzara, d’origine rumena, recita: “Il pensiero nasce in bocca”.
Dato per vero il significato di questo assunto geniale, si potrebbe ipotizzare che per rivoluzionare i nostri pensieri e le nostre idee o per lo sfizio di voler costruire un’“Era Prima” sociale… dovremmo e potremmo trasformare la nostra “bocca”, e cioè avere una nuova lingua.

Siete tristi, vi sentite schiavi di questo sistema baro ma soprattutto brutto…? Volete trasformare la vostra vita in una felice giornata piena di sole? Basta non credere più all’incubo in cui vi hanno precipitato certe bocche viziate e sporche! Ecco, apriamo la bocca alla lingua del bello, questa potrebbe costituire la svolta per il nostro tempo malato, un’arte intesa come lingua del sacro che sostituisca la politica e la nichilista economia guerresca con l’etica, in favore di una Società della Grazia.
Nel 2007 ho editato, a mie spese, un compendio di mie riflessioni sull’arte per un possibile reale cambiamento nella politica economica della società capitalistica, dal titolo “Gratia Plena”, con sottotitolo “l’Economia della Grazia”*. In sostanza e in sintesi quello che ho voluto mettere in evidenza in questi scritti è che il bello come sentimento del sacro porta ad un’Arte Trascendentale prodroma di una maieutica socio-antropologica-politica alternativa.
Con queste caratteristiche il dipingere è un proprio disvelamento metafisico, una metanoia, un mettere a nudo tutte le ideologie politiche del vecchio passato disumano, una dieta di Luce colorata, spirituale**.
In questo mio testo teoretico l’Arte è considerata come una visione filosofica a colori, anti conformista, individuale, sperimentale, mistica, una Teoestetica*** esperienziale.
“Il Bello è politico”: un concetto per ognuno di noi toccato dalla Grazia giornaliera; nel suo succo quest’estasi-estetica descrive una funzione pratica di ricerca gnoseologica (cioè di una conoscenza originaria della propria identità sacra), per una purificazione catartica (che ci liberi dalle angosce materialistiche), indirizzandoci ad una escatologia del bello rivelatrice (con un fine ultimo individuale: la trasmutazione alchemica dell’apprendista, l’artista che diventerà la sua Opera), affinché ognuno di noi possa creare il Bello politico: amorosi rapporti scultorei plastici sociali (Beuys docet)!
Negli anni Settanta e Ottanta ero un simpatizzante di sinistra, ma proprio in quegli anni feci i miei conti definitivi con quel pensiero politico dopo aver testato varie esperienze vive oltre la cortina di ferro, il muro ideologico che divideva, dopo il 1945, l’Europa dall’Unione Sovietica. Nel 1979 a Bistrica ob Sotli, paesino boschivo di pochi abitanti nell’ex Jugoslavia (oggi Slovenia) verso il confine con l’Ungheria, io e il pittore Gianni Dessì fummo invitati alla festa annuale dei giovani comunisti jugoslavi per rappresentare, nelle arti, l’Italia… i ricordi sono tanti, alcuni buffi e altri emblematici.
Tito, il dittatore comunista, era ancora vivo e Bistrica ob Sotli era considerato il paese natale della madre del nobile padre della patria che da soli 27 anni era al potere!; gli artisti convenuti da vari paesi, erano ospitati in luoghi isolati, ognuno in una casa colonica differente. “Cara mamma, vitto e alloggio ottimi e abbondanti!”, con quegli ospiti campagnoli nerboruti ci capivamo solo a gesti, molto gentili, niet televisione e con l’orario galline eravamo a letto.
L’ambiente agreste, gli arredi e le infrastrutture erano molto arretrati, niet negozi e niet pompe di benzina; i “giovani” comunisti jugoslavi, leve esclusivamente maschili, vestivano casacche di un verdaccio pallido; erano sorridenti, nei dintorni dei campi s’incontravano a frotte, organizzati con orari e lavori ben precisi: la mattina accudivano le banchine delle strade di terra e il pomeriggio nell’aere, canti e inni, tante bandierine rosse per esercitazioni paramilitari e, a sera all’osteria.
Io e Gianni evitavamo i loro autobus e gli incontri serali, perché per festeggiare in allegria, insieme ai loro compagni comunisti stranieri, era ancora in usanza salutarsi con un bacio in bocca. I nostri “compagni” dall’Italia ci avevano garantito che potevamo esporre liberamente ciò che volevamo… ma non sapevamo ciò che loro indigeni comunisti si aspettassero come arte italiana; Gianni ed io improvvisammo installazioni fotografiche e segni concettuali sui muri di un dopo lavoro scolastico: niet pubblico, niet critici, niet fotografie, finì in un bel disinteresse generale, ma con un buon pic-nic casareccio all’ombra di un grande glicine…
Furono cinque giorni calati in un’atmosfera da survival, soprattutto fummo molto nervosi per il ritorno (per tornare in Italia le indicazioni direzionali erano molto scarne…): ci fermammo spesso per istruzioni stradali, gesticolammo molto con i passanti sorpresi e sospettosi. Bruno Mantura era un critico d’arte molto arguto e vispo, con una faccia alla Giuseppe Verdi; ti guardava sempre fisso negli occhi, segaligno, poco più di mezza altezza, abiti impeccabili, cravattino, profumo di violette, girava sempre con un sosia, sua versione da giovane, l’amico gay.
(Oh my God! ho scritto gay… mi scusi Signor Salvatore Yankee Presidente del globo terracqueo, supremo algoritmo, lo cancello subito… ci dica: “Ora come li vorrà chiamare i gay?”). Mantura nel 1980 era commissario italiano per la Biennale d’Arte di Belgrado (allora Jugoslavia oggi Serbia), oltre a me invitò Cucchi e Burri, io andai e, per la prima volta, presi l’aereo. Il padiglione italiano era esterno al Museo d’Arte Moderna, opera dell’architetto razionalista Ivanka Raspopović, e si trovava in una grande camerata ex caserma, i manifesti dell’esposizione in caratteri cirillici mi andarono subito di traverso, apparivo come Ceccobellija!

Belgrado a quei tempi era una città molto pulita ed efficiente, ma grigia e fredda, le persone cordiali, ma distanti, la ragazza traduttrice che mi accompagnava mi disse orgogliosa che lì non c’erano scioperi, niet rapine, niet sindacati. Al Museo Haus am Waldsee di Berlino ovest, nel 1981, il gruppo romano galleria Ferranti fece una collettiva dal titolo: “Imaginations-Farbe” insieme a me c’erano: Domenico Bianchi, Gianni Dessì e Giuseppe Gallo.
Tutta la Germania era divisa in due (in particolare la ex capitale nazista era divisa in quattro settori di amministrativi: a nord-ovest settore francese, al centro settore inglese, e a sud settore americano, e all’est c’era il settore sovietico) e Berlino, nel dopoguerra, era drammaticamente spaccata tra ovest ed est da un orribile muro angosciante a vedersi, anche per la sua altezza, uno steccato con filo spinato che divideva palazzi, strade, piazze e parenti, di qua la libertà, di là la dittatura sovietica; senza “speciali” permessi non si poteva passare dall’altra parte. Ma di là dal divisorio, a Berlino est, c’era il Pergamonmuseum, il museo archeologico più famoso al mondo, sarebbe stato un sacrilego per degli artisti non andare a visitarlo.

Con permesso speciale “turistico” di otto ore passammo al settore Checkpoint Charlie controllato da militari americani e al di là settore sovietico da soldati della DDR. A parte il bellissimo museo, quello che ho trovato a est camminando a piedi per le dritte Straßen… era uno scenario misero, da film retrò del dopoguerra, di uno squallore inimmaginabile: i palazzi storici ancora mezzi bombardati e anneriti dalle bombe… le macchine e i tram vecchi di vent’anni e file in tutti i negozi, io stesso con i miei amici facemmo file per mangiare: prima dal panettiere, poi dal salumiere e ancora dal casalinghi per comprare forchette e coltelli di latta; sul marciapiede tante persone vestite fuori moda, sguardi di lato, schivi, tristissimi…

Da allora presi ad immaginare che se volevo essere veramente comunista dovevo superare i comunisti terrestri ed aspirare ad essere un comunista cosmico… e coniai l’aforisma: “Sono talmente comunista da essere Spirituale”. A cinquant’anni da questi singolari episodi le bocche e le lingue fameliche del materialismo borghese sono toujours le meme… cicli, ricicli e tricicli; ancora inutili guerre e vittime immolate a un progresso tecnocrate, difeso ad est da dittature rosse, gialle e nere e ad ovest da democrature bianche, azzurre, verdoline e violette… il brutto è profitto.
*“Gratia Plena” libro di B.C., I° ed. del 2007 Effe Fabrizio Fabbri Editore, 224 pagg., II° ed. del 2009, che comprende scritti eseguiti a partire dal 1984 fino al 2007, con un accurato saggio introduttivo dello studioso di filosofia Marco Bastianelli. Non ho mai voluto distribuirlo nelle librerie; era mia intenzione regalarlo a chi credevo in sintonia; bhè! di cento copie elargite il risultato di ritorno è stato che solo 3 persone lo hanno letto con soddisfazione e altre 2 lo hanno trovato difficile… tutti gli altri lo hanno dimenticato in bagno.
**Teoestetica: un mio pensiero con una sintesi fra Teologia Negativa e Teosofia, fra Fenomenologia e Fisica Quantistica.
***Indice di alcuni degli assunti sviluppati in un mio scritto del 1987 dal titolo Ditirambo (Avvertenza!! Il testo potrebbe risultare un manifesto pseudofuturista, ma va contestualizzato negli anni della recensione… In quel periodo si era appena succeduta un’età di attentati: terrorismo di destra, di sinistra e l’idea che una rivoluzione armata fosse ancora possibile): “Fine del patriarcato, nascita di una società della Configliolanza, tutti figli dei figli, dove ognuno è figlio dell’altro, per es.: Dio non è più il padre creatore, ma tuo figlio cocreatore…; abolizione delle proprietà non intime, l’economia sostituita con il dono e i miracoli, abolizione delle regole famigliari, statali, ideologiche e liturgiche, abolizione del nome e cognome, abolizione degli orologi, abolizione delle nazioni e dei concetti di patria, abolizione delle armi, abolizione del turismo, abolizione delle differenze tra generi di sesso e razze, ogni individuo è amore incondizionato, è persona risvegliata, abolizione delle attuali scuole, abolizione delle opere d’arte, fare della vita un’arte meravigliosa. Invece del tempo, l’eternità (per l’anima non c’è tempo e presente, passato e futuro coesistono nello stesso istante); la morte non esiste è un’esperienza della vita; invece della borghesia tritacarne che pigliatutto, una classe di belle anime; invece di libertà la responsabilità interpersonale; invece del capitale, la misericordia; invece delle banche, un deposito dei fioretti di San Francesco, invece delle scuole la solitudine in natura…”