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La proposta per Torino: è giunta l’ora di dedicare un monumento a Piero Gobetti?

Piero Gobetti
Piero Gobetti

Nel Ventennio Fascista le città italiane hanno avuto numerosi martiri, tra politici, intellettuali, operai e sacerdoti. Dopo il ritorno alla normalità democratica ogni comune ha reso omaggio alla loro memoria. Torino è stata la prima a ricordare Piero Gobetti, giornalista, filosofo, editore, traduttore e antifascista italiano, intitolandogli un teatro e il nome di una via in pieno centro.

In occasione del centenario della sua morte, avvenuta Il 16 febbraio del 1926, è quindi giunta l’ora di erigergli un degno monumento commemorativo, sia in Francia, a Neuilly sur Seine, dove è morto, che a Torino; qui proporrei di collocarlo a Palazzo Nuovo, sede dell’Università, e territorio di ardenti battaglie politiche, non tutte condivisibili, e spesso segnate da atti di intolleranza. Per questo suggerirei di farlo eseguire dallo scultore Jago (Jacopo Cardillo), poiché la sua Pietà è un ispirato avvertimento contro l’ingiustizia e la violenza. 

Piero Gobetti era nato in Torino il 19 giugno del 1901; abitava in via XX Settembre al numero 50; I suoi genitori avevano un negozio di frutta e verdura. Dopo la laurea aveva sposato Ada Prospero. Il giovane filosofo, storico e politico, era anche editore del periodico Rivoluzione Liberale, poi del Baretti; fra i collaboratori aveva Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo, Manlio Brosio. Nel 1925 Ada gli diede un figlio, ma dopo solo un anno Piero sarebbe morto.

Mussolini aveva inviato al Prefetto di Torino un telegramma: “Rendete la vita impossibile a Piero Gobetti”. In quel contesto illegale si era eseguito l’ordine in due modi: tramite la Polizia alla quale affidare la perquisizione e la distruzione di tutti gli incartamenti e dei libri in via di pubblicazione. Il secondo modo era farlo picchiare dagli squadristi con sacchetti pieni d pietre, di sera, al suo rientro a casa. Il linciaggio era stato feroce e aveva distrutto i polmoni del giovane intellettuale, obbligandolo ad andarsene da Torino per curarsi a Parigi.

Su Rivoluzione Liberale la sua penna non risparmiava analisi politiche legate alla “passività e al conformismo del Paese, difetti funzionali all’ avvento del fascismo”. Sulle stesse pagine più volte, ancor prima della Marcia su Roma, aveva denunciato il fatto che il Partito Nazionale Fascista era finanziato dagli industriali e dagli agrari. Ma non solo. Aveva anche intuito che i mandanti dell’assassinio di Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno del 1924, erano i proprietari terrieri, assai preoccupati delle sue proposte di riforma. Così i tragici destini di Matteotti e di Gobetti vengono a incrociarsi. Il giovane intellettuale di 24 anni così ricorderà il Deputato Socialista: “Egli rimane come l’uomo che sapeva dare l’esempio. Era un ingegno politico quadrato, sicuro; ma non si può dire quello che avrebbe potuto fare domani come Ministro degli Interni o delle Finanze; ormai è già nella leggenda.”

Si potrà fare questo monumento a Torino? Si potrà fare davanti a Palazzo Nuovo?  Mi è rimasto solo un dubbio piuttosto tormentoso sulla coscienza politica dei docenti universitari torinesi.  Uno di loro – uno storico esimio – durante una conversazione amichevole (avevo appena elogiato la bellezza e l’essenzialità del ritratto di Gobetti, eseguito su carta da Felice Casorati nel 1923), mi ha lasciato allibito con questa affermazione: “Ne avete fatto un mito, ma era solo un provinciale.”

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