
Siamo stati sulla spiaggia di Marina di Massa, dove sorge la ex Torre FIAT. Un gran pezzo di storia italiana, che da luogo di villeggiatura per i figli degli operai oggi diventa quartier generale del Festival Post-Colonia. Per ripensare il presente partendo dal passato.
Quando ci è giunta notizia di “Post-Colonia – Festival di architetture e immaginari in transizione”, direzione artistica di Martina Angelotti ed Emanuele Guidi, qui ad Artslife non avevamo dubbi: stavamo per mettere le mani su un pezzo di storia italiana raccontata e ragionata in modalità tutt’altro che banale, a partire dal rampante edificio a torre scelto come location. Pertanto non potevamo perderci l’apertura del 6 aprile, caratterizzata da una una marea di gente impaziente quanto noi di entrare a far parte del progetto “Post-Colonia”. Che, rispetto a leggerlo su un pdf, è un’altra storia.
Una storia che ha radici lontane. In un’Italia tra primo Novecento, Ventennio e secondo dopoguerra- boom economico, in cui la classe operaia non andava in vacanza come (più o meno) accade oggi, e per far prendere aria di mare ai figli c’era principalmente una soluzione: mandarli in colonia, quella sorta di welfare ante-litteram messo in piedi dalle grandi realtà industriali del Bel Paese. Tra queste realtà c’era la FIAT degli Agnelli. Giovanni Agnelli (il nonno, non il nipote con l’orologio sul polsino), che amava Forte dei Marmi, pensò bene di far erigere qualche chilometro più in là – a Marina di Massa, correva l’anno 1933 – la Torre FIAT. Oggi quella Torre è una struttura ricettiva, prestata per una settimana ad iconica sede di “Post-Colonia”.

Stare ai piedi della “colonia che fu” la fa apparire ancor più imponente, nonché impudentemente piazzata in riva al mare, in un rapporto tra verticale e orizzontale che è effetto sintomatico di un’Italia dove le soluzioni architettoniche non potevano prescindere da una buona dose di machismo mussoliniano. Entrarci dentro è un’esperienza doppiamente appagante, legata al valore architettonico di un edificio normalmente non visitabile, così come al progetto espositivo che lo stesso ospita al suo interno:“Cinema elicoidale”. Sì elicoidale, proprio come la rampa che è necessario salire (ed è lunga, ma c’è anche l’ascensore) per tutto il percorso mostra, entrando e uscendo da stanze in cui l’interscambio tra interventi video offre scene di un passato ritornato a un futuro che nel frattempo è diventato presente. In un Festival che ha scelto proprio questa struttura in quanto – citiamo da testo dei direttori artistici – «[…] simulacro della crisi industriale, sociale ed ambientale del territorio e dei modelli di sviluppo basati sull’economia estrattiva», “Cinema elicoidale” è l’evento fulcro di un programma decisamente ricco e variegato (on stage fino al 13 aprile).


Tra i tanti i nomi che occupano quegli ambienti dove i bambini andavano a respirare iodio («Il medico della colonia ha detto che il mare a me fa bene» racconta uno dei piccoli ospiti, in un Cinefiat del 1972 che espone pedissequamente pregi e organizzazione delle colonie FIAT), “Cinema elicoidale” non si fa mancare un inaspettato Bernardo Bertolucci (per Eni, anno 1967), assieme ad artisti come Lorenzo Sandoval, Danilo Correale o Céline Condorelli. Camera con vista prenotata anche per Katrin Hornek, che con Plant Plant del 2022 mette su una riflessione sull’azoto sintetico prodotto dagli anni ’20 alla Montecatini (che come fertilizzante è responsabile del 2,1% dei gas serra), condividendo lo spazio con Ermanno Olmi, regista prestato a documentare nel 1958 i Giochi in colonia: la frizione narrativo-prospettico-ideologica proposta da questa coppia è da manuale. C’è anche il buon Gianni Pettena, che corriamo a santificare per “Architecture + Nature”, anno 2011. Due minuti e venticinque secondi di “architettura in erosione” se così si può dire, portati avanti con un’espressività incisiva quanto sintetica (e il dono della sintesi magari non è tutto, ma fa tanto per chi lavora con la comunicazione). Un Pettena sopraffino nel portare il pubblico di “Post-Colonia” dritto a ripensare l’equilibrio tra architettura e natura, proprio all’interno di quel “deliriodionnipotenzaarchitettonico” (il tutto attaccato è voluto) che è la Torre FIAT. Nella stanzetta attigua, un video di pochi secondi – tratto da una Settimana Incom – documenta la devastante mareggiata che nel 1955 colpì quella stessa costa su cui si affaccia la Torre. Traetene ora le vostre conclusioni. E buon Festival.
















