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Frida Orupabo, o dell’alterità da tutelare

Utstillingsbilde, Frida Orupabo, On Lies, Secrets and Silence. © Astrup Fearnley Museet, 2024. Foto: Christian Øen
Frida Orupabo, White Happiness, 2024. Metal. Photo: Gerhard Kassner
Da Oslo, una recensione molto particolare per l’artista Frida Orupabo, in mostra al museo Astrup Fearnley. Prendendoci la licenza di utilizzare solo le parole che Trump ha bandito recentemente dal vocabolario dell’amministrazione americana

Ho da sempre pensato che un senso molto personale di activism fosse alla base del lavoro sull’immagine di Frida Orupabo. La sua On Lies, Secrets and Silence è visibile fino alla fine di aprile al museo Astrup Fearnley di Oslo. Una mostra non pensata solo per gli activists zero che possono ritrovarsi nelle file del pubblico dell’arte di oggi, ma piuttosto per il grande pubblico e preparata per un tour nei paesi nordici, dopo una prima tappa alla Bonnierkonsthall ed un’ultima tappa in Germania, ad Hannover, dove riceverà il premio Spectrum per la Fotografia del 2025.

Tutto il lavoro di Orupabo fin dai suoi collages e dalle sue prime immagini seminali pubblicate sul suo conto IG @nemiepeba é da subito apparso come un enorme contributo di advocacy per eliminare la barriera ideologica e le barriere visive ed eliminare i pregiudizi (biases) verso la comunità black in ogni angolo del pianeta. Per essere più una pratica costante e specifica di redifinizione dell’iconismo bipocblacks and latinx, che attingendo a pratiche di segregazione di community diversity potesse attraverso l’alchimia potente del linguaggio dell’assemblage e del collage che sono la sua firma caratteristica per costruire una cultura responsive e trasformare un cultural heritage disseminato e bistrattato dai media in una potente risposta al razzismo dilagante. Un lavoro che attraverso le immagini discriminatorie e discriminate di diversi background potesse ricomporsi e ridare voce a diverse community e diverse group per diversificare lo stereotipo visivo che ha condannato a secoli di subordinazione anche a livello di considerazione estetica il prodotto artistico di gruppi che hanno lavorato sul terreno seppur minato dall’agghiacciante idea dell’apartheid e della segregazione per costruire una vera equità della visione.

Utstillingsbilde, Frida Orupabo, On Lies, Secrets and Silence. © Astrup Fearnley Museet, 2024. Foto: Christian Øen

Ecco il lavoro di Frida Orupabo si presenta algido come la sola garanzia attraverso la sottolineatura del sostrato di inequality per promuovere la diversity e sottrarla al peso della ethnicity e dell’esclusione delle culture altre, che dal tempo degli innesti picassiani delle Demoiselle d’Avignon ha costruito un immagine dell’arte bianca e wasp che non era certo un modello di inclusivity e di apertura verso il femminile e la differenza di genere. L’artista nigeriano-norvegese sembra rinviarci allo specchio di un peccato originale primigenio e precedente perfino agli hate speech nelle sue forme più sofisticate che Frida Orupabo decostruisce e rimonta in un’idea di inclusivity che non lascia dal punto di vista storico fuori dal quadro nessuna comunità indigena ottenendo immagini che considerano il traguardo ultimo della redenzione attraverso dosi massicce di inclusivity persino a livello di materiali iconografici. Come se l’universo di inequalities nel quale siamo immersi e che si regge a livello istituzionale attraverso la marginalizzazione delle comunità Lgbtq+ ed in generale di ogni minority o tentativo di sviluppare un universo multicultural possibile evitando la polarizzazione politica. Quello di Orupabo é un sapiente lavoro di taglio e cucito, di selezione ma non di copia e incolla. E’ una couture intima e ultima che mette in mostra pregiudizi e privilegi e soprattutto costruisce attraverso frammenti di reale lo smantellamento della weltangschauung di chi opera per promuovere racial injustice e racial inequalities. Un grande ritratto del razzismo imperante che scardina il senso di appartenenza che nega ed abolisce la giustizia sociale e con lei ogni discorso legato alle preferenze sessuali ogni approccio socioculturale riservando a status e stereotipi di genere le sole possibilità di generare modelli. Orupabo entra in queste simulazioni sistemiche dell’apparato di controllo patriarcale e ne rivela i traumi attraverso l’esposizione di corpi e figure di universi sottorappresentati svalutati per secoli universi di vittime e per la più parte del tempo donne a cui regala un nuovo classicismo frutto di una solida coscienza etica e civile che é quella dei grandi artisti.

Utstillingsbilde, Frida Orupabo, On Lies, Secrets and Silence. © Astrup Fearnley Museet, 2024. Foto: Christian Øen

Per redigere questa recensione ho utilizzato l’intera lista delle parole bandite dall’amministrazione Trump, nelle ultime settimane, e l’ho fatto scientemente, perché la pratica di Frida Orupabo solidamente impiantata sui suoi studi di sociologia si nutre proprio di questi scarti di discorso e di nominazione che la cultura dominante vorrebbe imporre nel tentativo di gommare e annegare nel bianco ogni lotta di liberazione.

Il mondo dei lavori di Frida é tutto da assorbire e percorrere come un antidoto alle colate di Tipp-ex che ci arrivano ultimamente dagli Stati Uniti, l’immersione in un diverso bianco museale dove affiorano le figure di una alterità per cui ci battiamo da sempre.

Utstillingsbilde, Frida Orupabo, On Lies, Secrets and Silence. © Astrup Fearnley Museet, 2024. Foto: Christian Øen

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