
L’artista Bruno Ceccobelli ci trascina con i suoi ricordi verso una Teologia della Bellezza rivelandoci che, secondo lui, tutti noi potremmo esistere, perfino come capolavori
La Signoria Vostra è invitata ad ammirare le opere d’Arte esclusivamente oltre la loro superficie-materia-colore. Lezione prima (e ultima) per apprendere come vedere all’opera lo Spirito Santo nei “capolavori” della Storia dell’arte; manuale del Principe Osservatore di capolavori: piano, piano, rovesciate gli occhi all’indietro, ora vi porterò con un “soffio” nell’intimo di un capolavoro, per prendere coscienza delle sue essenze invisibili…
Vi propongo di passare dalle osservazioni celeri e superficiali delle arti attuali, mercantili, e della Post-Art o dell’Art activism, black, diversity, inclusivity, ethnicity e apartheid ad osservare invece un’opera eccellente…
Un, due, tre, proviamo ora, per una volta, a incantarci fissandoci, Dio lo voglia… in una rivelazione del capolavoro, e vedrete che il tempo rallenta, la gravità aumenta e i significati si affollano.
“Alla Tua Luce vediamo la Luce.”
Ecco un’epifania, la visione empatica che si avvolge su se stessa; venite assorbiti dall’occhio unico della dimensione olistica del capolavoro, siete trascinati in un incantevole viaggio introspettivo, vivrete il rispecchio del Cor ad cor, subito, all’animo, si manifesterà un flusso pulsante di Spirito.
Nella contemplazione cocente dell’Essere e contemporanea all’Ente, “esso”, l’Astratto, ci incarnerà celesti, completando così la nostra “integrità”; eccoci dunque, adescati all’istante, noi siamo Lui!

Breaking News: qui da Gotham City (dove tutti noi bambini colpevoli, perché terrorizzati, abitiamo), qui il “Joker T.”, quel vecchio sociopatico Usano, modificato chimicamente, sta raccontando malamente le sue ultime “barzellette” ai soci… al russo Due Facce, al Pinguino cinese e alla Lega dell’Ingiustizie mussulmane … e però il resto del mondo non ne gioisce!
Una volta, tanto, tanto, tanto tempo fa, un tempo avanti Cristo, Platone dichiarava: “Il bello è lo splendore del vero”, già allora ci indicavano che il vero e il bene corrispondono anche al giusto; questo sinergico capolavoro di intuizioni luminose, seme divino di coscienza, cade in alto nel Regno della Bellezza e piove quaggiù da noi come etica.
Nel 1980 ero a Stuttgart* invitato dalla famiglia Grässlin di St. George in Schwarzwald, avevo conosciuto Bärbel**, una delle loro figlie l’anno prima, grazie alla kermesse artistica organizzata dalla città di Stuttgart “Europa 79”, giovani artisti europei a confronto sotto i 35 anni. I Grässlin erano ottimi collezionisti, una solida famiglia dell’industria elettronica tedesca; il capofamiglia, ingegnere, era stato un poliedrico inventore, brevettò una ventina di timer che poi aveva prodotto nelle varie succursali del mondo.
Quando i Grässlin mi comprarono la prima opera, la volli installare personalmente in casa, scavando addirittura il muro dentro l’ingresso della loro villa, e lì, da ospite, compresi che il patriarca ormai non c’era più… e così diventai affezionato anche di Anni la madre e di Carola e Thomas i fratelli di Bärbel, miei giovani coetanei.

I Grässlin abitavano in armonia in un elegante e ombroso sobborgo di St. George, una grande villa con più corpi, moderni edifici attaccati a schiera che degradavano giù da una collina di fronte alla Foresta Nera.
I tre quarti della villa della frau Anni consistevano nel loro museo privato, composto da un grande lavoro di Mario Merz all’entrata (un coccodrillo trapassato da un lungo neon e i numeri Fibonacci), e poi lavori di Daniel Buren, ma di base collezionavano molti maestri tedeschi dell’informale come Gerhard Hoehme, ancora del minimale come Imi Knoebel, Reinhard Mucha, Ulrich Rückriem e poi del mio performer preferito, il talentuoso Klaus Rinke, anche se mi ricordava molto le precedenti video-azioni dell’americano Bruce Nauman.

Grazie a Bärbel passai poco più di un mese in un enorme studio concessomi dal Comune di Stuttgart, stavo preparando opere per la mia prima mostra francese che si sarebbe svolta nel gennaio 1981 a Parigi, una personale dal titolo: “Si china sul vostro ritratto” alla Galleria Yvon Lambert di Rue Grenier Saint-Lazare accanto al Beaubourg il nuovissimo e coloratissimo museo detto Centro Pompidou, edificato su progetto di Renzo Piano e Richard Rogers, una struttura tutta tubolare che a prima vista sembrava una tela di Fernand Léger.
Fui a Stuttgart in dicembre, un mese sempre imbiancato, freddissimo, le automobili alemanne, veri panzer, rullavano veloci sul manto nevoso ghiacciato senza montare mai le catene… Stutt, oltre ad avere un piccolo centro storico ben conservato ed enormi castelli gotici medioevali, per il resto presenta lati piuttosto moderni, severi, funzionali più di tutto nella sua zona industriale periferica; in quelle strade e in quelle piazze scure (per me il cielo era troppo nuvoloso, ma nonostante tutto ero frenetico), mi comprimevano estese emozioni alterate, maturate dalle mie nuove scoperte estetiche.
Conobbi così a pelle tutta la scena artistica contemporanea della Deutschland (oltre ai già affermati personaggi come Joseph Beuys, Gerhard Richter e Anselm Kiefer). L’interessante panorama artistico germanico del Novecento è stato caratterizzato da un passato d’espressionismo tragico come quello di Otto Dix e poi nel dopoguerra da uno continuum con un espressionismo drammatico come quello di Georg Baselitz…

Però in quegli anni in Germania furono rari gli artisti con un’estensione espressiva votata al sentimento di un’estetica salvifica, ma c’era un artista che mi impressionava già da anni, perché aveva esposto a Roma nella famosa mostra del 1973 “Contemporanea” al parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, ideata da Achille Bonito Oliva***: Wolf Vostell (Colonia 1932- Berlino 1998).

Quest’artista tedesco, dall’aspetto esotico tipico di un religioso rabbinico, mi interessava sia per la sua veemenza e coerenza provocatoria con quelle sue immaginifiche installazioni irruenti, contestative e tecnicamente pugnaci, sia per la sua vita intesa come “azione” estetica salvifica****.
Wolf proveniva esteticamente da quella caotica fucina performativa chiamata Fluxus, un movimento internazionale di Happening, discendente da una controcultura rivoluzionaria, essenziale per il rinnovamento del Novecento, artisti eredi del New Dada, e dalla teatralità sbeffeggiante Futurista. Vostell era un artista très charismatique, un vero pioniere europeo di spettacolari “mise en scène” mediatiche, e questo l’ho potuto comprendere meglio nel suo ambiente, quando lo vidi, da tutti bisbigliato, agitarsi sornione ai buffet, nella festa inaugurale di Europa 79 a Stuttgart.
Lupo d’origine giudea, tra qualsiasi astante, non si poteva che notare: statura norrena combattiva con una stazza prospera, in testa la Kippah di pelliccia nera, le basette e i baffi pendenti a riccioli bianchi da ultraortodosso, camicia bianca da pirata con il colletto sbottonato, pantaloni e giacca neri, anelli, bracciali e collana, un lungo havana sempre acceso.

Wolf Vostell nel 1954 s’inventa il “dé-coll/age”: una parola, una tematica e una tecnica che prese a spunto da un titolo di un giornale parigino che annunciava l’incidente di un aereo appena decollato… i suoi sillogismi su “decollare” furono: elevarsi, rompersi, morire… da ciò iniziò a strappare giornali e immagini su carta. Nel 1958 Vostell crea “Das Schwarze Zimmer” (la camera nera) e fu la prima volta che un televisore apparve in una installazione; nel 1959 mostrò a New York ancora altri televisori “TV dè-coll/age”**** sintonizzati su immagini decontestualizzate e distorte.
Wolf artista Rabbi, memore dell’Olocausto, negli anni Sessanta, come novello scultore vendicatore dei poteri forti e sconfessante quelle violenze, invece di scolpire e scoprire la “materia” fece all’inverso, la bloccò.
Simbolicamente, tecnicamente e eticamente fermò, ricoprì, incapsulò, schermò ed è così che iniziò a “dannare”, a cementare automobili, televisori, macchine da scrivere e tele, ecc… Più tardi, ancora a New York, nel 1975 inizia delle installazioni dal titolo Endogen Depression con televisori, radio, casseforti e mobili cementati ed un elemento naturale: dei tacchini vivi.



La sua creazione-contestazione cementizia anticipava di molto i movimenti politici e studenteschi in quella cacciata dal “Tempio della Bellezza” di quella società profana, “La Società dello Spettacolo” contro natura, alienante, manipolatrice.



Palingenesi: occorre trasformare la propria vita in un capolavoro, solo così le vere opere d’arte si fanno ammirare, non da un bipolarismo corporeo esterno convenzionale, ma dall’interno: dobbiamo scendere nel sottoscala di ogni opera, con la mira di viverla, per fonderci con la sua grazia a pieno, abitandola.
E così mentre in Italia c’erano gli “Agnelli” buoni che producevano futurismi a scoppio, in Germania c’era un “Lupo” mordace, artista senza stile, che fustigava il progresso industriale imperialista e non concedeva nulla alle pasticcerie del mercato dell’arte, realizzando in questo modo il suo capolavoro di vita, con cuore.
Opzione celeste: “Fare della propria vita un’arte eclatante, ognuno a suo modo… Eh sì, si può fare!”.
Uno, due, tre, Fante, Cavallo e Re questo Manuale è per Te.
*Stuttgart, Stoccarda, è il Land delle grandi fabbriche: Mercedes-Benz, Bosch, Porsche… c’era una forte immigrazione di italiani (circa seicentomila), alla stazione centrale e in città si sentiva sprechen Deutsch per metà e per l’altra la lingua meridionale.
**Bärbel Grässlin: all’epoca era già una segretaria della Galleria Max Hetzler, poi ora ha una propria galleria a Francoforte, molto ampia; suo fratello Thomas invece ha un suo Museo a St. George in Schwarzwald (Germania).
***“Contemporanea”, mostra romana al Parcheggio sotterraneo di Villa Borghese nel 1973, realizzata con la collaborazione degli incontri internazionali d’arte di Roma; di tutte le opere in esposizione mi colpì di più, per la sua inusualità: una vecchia Cadillac Eldorado color prugna scuro del ’58, abbozzata, con addossato un muro di tanti filoncini di pane, incartati con giornali di cronaca strappati; era l’opera di Wolf Vostell, come la vidi pensai: “questo ha capito tutto”.
****Estetica Salvifica di Wolf Vostell, con le sue installazioni testimoniò contro i nazisti, la guerra del Vietnam, contro il muro di Berlino, la guerra del Kosovo e perfino sostenne le rivendicazioni degli Indiani d’America… frequentò molto la Spagna nella regione di Estremadura dove conobbe sua moglie Mercedes e dove scelse di avere il suo Museo personale alla fazenda Malpartida de Cáceres.
*****I Décollage di Vostell sono più meno coevi a quelli di Mimmo Rotella, invece i suoi esperimenti televisivi sono precedenti a quelli di Nam June Paik prodotti a partire dal 1963.













