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La sublime ossessione, o del collezionare (quasi) l’infinito

La sublime ossessione, SV Centro Espositivo San Vidal
La sublime ossessione, SV Centro Espositivo San Vidal
La chiamano “La sublime ossessione” e già il titolo è un avvertimento: non sarà una passeggiata. È una mostra, certo. Ma anche una confessione. Un invito a farsi un giro nella testa di uno che colleziona, e non per mestiere o moda, ma perché non può farne a meno. Uno che guarda un oggetto, una piccola opera d’arte, e sente che senza non si può andare avanti. Uno che mette insieme pezzi di mondo come se stesse cercando di costruirsi una seconda vita – forse più vera della prima.

A curarla è Christian Palazzo, uno che sembra conoscere bene quel confine un po’ folle tra passione e necessità. Lo spazio è lo SV – Centro Espositivo San Vidal, nel cuore della Venezia che conosce ancora il silenzio. La mostra dura fino al 24 ottobre, ma se uno vuole davvero vederla, deve andarci prima, quando l’ossessione è ancora calda.

Appena entri, ti arriva addosso una specie di disordine organizzato. Più di 230 opere, 186 artisti, nomi da tutto il mondo. E nessuna intenzione di essere rassicuranti. Le pareti sono piene, i dettagli si inseguono, i quadri sembrano litigare e poi abbracciarsi. È un muro di pensieri, un flusso visivo che satura lo sguardo. Come quando entri in una soffitta dimenticata e capisci che ogni oggetto ha una storia, ma per raccontartela ha bisogno che tu stia zitto un momento.

La mostra si presenta come una stanza-santuario. Ma è anche una trincea. Una Wunderkammer contemporanea, come dicono nei testi critici. Una camera delle meraviglie per chi non si è ancora arreso alla fretta. E allora si ferma, guarda, prende nota. Non c’è percorso. O meglio: ce ne sono infiniti. Dipende da come sei fatto, da dove ti porta lo sguardo, da cosa ti colpisce nel mucchio. E il mucchio non è casuale: è un archivio della mente. Una biblioteca dove le opere sono i libri che non puoi smettere di leggere. La collezione, dice il comunicato, “diventa impulso primario, riflesso di un mondo interiore”. E non mente: tutto qui ha l’aria di una verità che scotta.

La sublime ossessione, SV Centro Espositivo San Vidal

È anche una riflessione sul desiderio, sulla fame di bellezza, sulla tensione a possedere. Ma non nel senso meschino del termine. Qui “possedere” significa “tenere con sé”, fare spazio nel proprio tempo. Come si fa con certi ricordi o con le persone che non vogliamo più perdere. Cammini tra le opere e ti viene in mente quella frase che dice che “ogni passione confina col caos, ma quella del collezionista confina col caos dei ricordi.” Benjamin, mi pare. E funziona. A un certo punto ti fermi. Perché tutto questo ti parla anche di te. Di quello che tieni nel cassetto, di quella cartolina che non riesci a buttare, di quel biglietto del treno che ha perso ogni valore tranne uno: raccontare un momento. Allora capisci. Il collezionista non è un maniaco, è un superstite. Uno che cerca di trattenere qualcosa in un mondo che dimentica tutto troppo in fretta.

Nel testo critico di Silvia Previti c’è una frase che ti resta in testa: “Questa mostra vuole essere un invito a riscoprire il valore dell’osservazione, a coltivare la capacità di cogliere la bellezza, di comprenderla e custodirla. Non come mero accumulo, ma come gesto di amore verso ciò che per noi ha valore.” Ed è proprio così: ogni opera qui è una dichiarazione d’amore. Disordinata, certo. Ma sincera.

La sublime ossessione, SV Centro Espositivo San Vidal

E poi arriva anche Francesca Catalano, che affonda il colpo: “In questo allestimento concitato e ossessivo si ricrea una sorta di Wunderkammer contemporanea, una camera delle meraviglie in cui rientrano tutte le forme possibili dell’arte.”
E aggiunge, senza peli sulla lingua: “Oggi il collezionismo è in crisi. Ma queste mostre servono per dire che tutti possiamo diventare collezionisti. Non servono milioni. A volte bastano pochi euro e un po’ di coraggio. Anche così si aiutano i giovani artisti a restare vivi.”

Fuori dalla sala, Venezia ti sembra diversa. Forse un po’ più tua. Come se anche lei fosse una collezione infinita. Una città che si tiene insieme per ossessione. Per nostalgia. Per amore. E allora capisci che La sublime ossessione non è solo una mostra. È una dichiarazione. È un modo per dire che si può vivere anche così: pieni di cose belle, confuse, salvate. Che c’è ancora spazio per chi guarda lentamente. E per chi, nel farlo, scopre di essere vivo.

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