
Una grande mostra nella Basilica di Santa Maria alla Pietrasanta a Napoli racconta 50 anni di vita di Pablo Picasso
Il rapporto tra Pablo Picasso (1881-1973) e la città di Napoli è sempre stato molto forte. Soggiornò nel capoluogo campano nel 1917, per collaborare con i “Balletts Russes” alla realizzazione dello spettacolo dal titolo “Parade”. Si immerse nella commedia dell’arte, in particolare nella figura di Pulcinella, che divenne una icona ricorrente nella sua opera, specialmente nel suo periodo parigino. Ebbe modo di ammirare l’arte antica, in particolare quella degli scavi di Pompei, che lo ispirò profondamente.
A distanza di due anni dalla mostra sull’artista andaluso “Picasso e l’antico”, allestita nelle sale del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, una interessante esposizione è quella in vigore nella Basilica di Santa Maria alla Pietrasanta di Napoli – Lapis Museum, dal titolo “Picasso. Il linguaggio delle idee”, prodotta da Navigare Srl, curata da Joan Abellò e Stefano Oliviero, fino al 28 settembre. L’exhibit presenta un’ampia panoramica sull’arte e sulla vita dell’artista, celebrando il talento e la creatività del rivoluzionario pittore, scultore e incisore, abbracciando 50 anni della sua lunga vita, conclusasi nel 1973, a 92 anni.
È un modo per raccontare la sua evoluzione artistica, le influenze, le collaborazioni, le amicizie e lo stile, i temi ricorrenti e i simbolismi, in un lungo percorso ricco di sperimentazioni e rivoluzioni. Divisa in sezioni, con un totale di 103 opere di collezioni private, è formata da: Picasso, Arlecchino e i saltimbanchi; Le Tricorne; Le incisioni; Le ceramiche; Paloma; L’Amico vagabondo divertente e Le fotografie, con alcune opere originali e con delle riproduzioni postume.
Le tricorne
Per Picasso nella sua opera gli stili non esistevano, e questo è testimoniato dal lavoro realizzato per “Parade”, per i quali disegnò costumi, allestimento e sipario, sollecitato dall’amico poeta Jean Cocteau (1889-1963), che ne curò i testi. Con quest’ultimo incontrò Sergej Diaghilev (1872-1929) nel 1917, a Roma, fondatore dei balletti russi. Insieme, daranno vita ad una proficua collaborazione. Nella Capitale, il pittore spagnolo affittò uno studio a via Margutta e iniziò i primi studi per i costumi e per il sipario, quest’ultimo dipinto su una enorme tela di cotone e juta. Su questa superficie raffigurò donne, saltimbanchi e suonatori sempre sottolineati da una certa mestizia. Un cane che dorme, un cavallo alato che ha sul dorso una bambina, viene presa per mano da una scimmia su di una scala. In totale, l’opera è composta da 33 pezzi, 32 fototipi e una incisione, che riproducono i disegni originali.

Lo spettacolo fu presentato per la prima volta al Teatro Alhambra di Londra nel 1919. Picasso compose una serie di cartelle in edizione numerata contenente le 32 riproduzioni delle scene e dei costumi, che furono pubblicate dal gallerista Paul Rosenberg (1881-1959) nel 1920, un anno dopo la prima del balletto. I collotipi sono riproduzioni fotografiche monocromatiche, che poi dovevano essere colorate a mano, come si evince nelle opere presenti in mostra.
Dopo “Parade”, realizzò altri lavori per i balletti, tra i quali spicca quello di ispirazione spagnola “El sombrero de tres picos” (Il cappello a tre punte), che in francese divenne noto come “Le Tricorne”. Qui, egli dà prova di grande fantasia e ingegno, con costumi e scene dalla vivace cromìa mediterranea, inserendo richiami dell’arte popolare iberica fatta di colori forti e gusto per le decorazioni.
Picasso, Arlecchino e i saltimbanchi
Fra i vari temi di Picasso stanno a parimerito con gli altri, le maschere della commedia dell’arte, Arlecchino in particolare. Con il suo costume a losanghe compare, anche a distanza di decenni, a partire dal periodo blu e rosa, seduto in un caffè parigino al “Lapin Agile”, in mezzo a saltimbanchi o in disparte in altre maniere. Gli Arlecchini dell’artista svelano una disposizione alla mestizia che prevale sulle caratteristiche più note della maschera, quali la furfanteria o la predisposizione agli scherzi. Figura malinconica, si sovrappone a quelladel suo ideatore, una sorta di suo alter ego, qualcuno che potesse garantirgli quella stabilità che la complessità della sua stessa vita non gli garantiva.

A Montmatre, Picasso frequentò i clown del circo Medrano. Durante gli anni del periodo blu e rosa, acrobati, saltimbanchi, giocolieri e pagliacci si confondono con gli arlecchini. Al periodo blu appartiene l’opera in mostra “Arlecchino e la compagna”, nota anche come “I due saltimbanchi”. Essa è una delle poche, fra quelle pervenute, a ritrarre due figure anziché una: questo contribuisce ad enfatizzare il senso di desolazione della coppia, il loro estraniamento e l’incomunicabilità. I due personaggi rappresentano, probabilmente, il grande amico e artista di Picasso, Carlos Casagemas (1880-1901), e la ballerina e modella Germaine, sua amante.
In “Due acrobati con il cane”, del 1905, i protagonisti sembrano muoversi in un ambiente tridimensionale nel quale si intravedono delle case e qualche leggero accenno di paesaggio. I due circensi hanno però lo sguardo perso nel vuoto e triste, mentre una atmosfera di incertezza e precarietà li avvolge, rimanendo come smarriti.
Le incisioni
Nel 1931 Picasso acquistò il piccolo castello settecentesco di Boisgeloup, vicino a Gisors, a nord di Parigi, dove installò nelle scuderie l’atelier per la scultura e per l’incisione. Qui, realizzò, dal 1927 al 1937, un centinaio di lavori, alcuni visibili in mostra, commissionati dal suo vecchio mercante Ambroise Vollard (1866-1939) su vari temi, tra cui quello dello scultore nel suo studio, avendo come fonte di ispirazione la modella e sua compagna Marie-Thérèse Walter (1909-1977) e, dove compare anche la figura ambivalente del Minotauro. Un’altra “suite” di incisioni è quella che illustra le “Metamorfosi” di Ovidio (43 a.C.- 17 d.C.), per Skira editore.

Le ceramiche
Vorace e instancabile sperimentatore di materiali e tecniche, l’artista spagnolo rivolse la sua attenzione anche alla ceramica, attratto dalle potenzialità espressive di questo materiale. E’ fondamentale la conoscenza della terracotta grazie all’incontro con George Ramié (1901-1976), a Madoura, in Francia. Nel 1946, Picasso insieme al suo amico Louis Fort, decise di visitare la mostra di ceramica a Vallauris. Si interessò in modo particolare allo stand Madoura e chiese di essere presentato ai proprietari: Suzanne e Georges Ramié. Lì fece tre pezzi che lasciò asciugare e cuocere.
Dopo un anno, tornò per controllare come i pezzi si erano rivelati. Soddisfatto, venne allestito un laboratorio appositamente per lui, dove iniziò a produrre una serie di lavori, dando vita ad una lunga e produttiva collaborazione tra Picasso e la famiglia Ramié; l’intero personale divenne parte di un processo creativo che lo aiutò alla realizzazione delle opere. Suzanne Ramié condivise con lui la sua vasta esperienza, insegnandogli tutti i segreti della ceramica. I manufatti spaziavano da vasi, sculture, placche e piastre, alcune visibili nel percorso espositivo, fino ad un servizio completo per la cena. I temi familiari comprendevano scene di corrida, ritratti e natura, capre, uccelli e pesci.
Paloma
Il 25 agosto 1945 Parigi venne liberata dai nazisti per opera degli Alleati. Picasso era non solo un pittore stimato, ma anche una figura pubblica, un messaggero della pace, viste le sue aspre denunce contro il nazismo. Al primo incontro del “Movimento per la pace”, che si tenne a Wroclaw, in Polonia, dal 25 al 28 agosto 1948, manifestò il suo appoggio alla libertà di espressione, leggendo un testo dell’amico Paul Eluard (1895-1952), in cui chiedeva la liberazione del poeta Pablo Neruda (1904-1973). Poi, nel febbraio del 1949, il poeta Louis Aragon (1897-1982) si recò nello studio dell’artista andaluso e, fra i tanti fogli sparsi, scelse il disegno di una colomba, che diventerà il simbolo del “Congresso mondiale della pace”, programmato fra Parigi e Praga ad aprile dello stesso anno.

A marzo, la colomba comparve già nella rivista “Les Lettres Française”, sotto il titolo “Questo manifesto sarà per tutti il muro del mondo”. In seguito, a questo riconoscimento globale, Picasso non smise di creare altre colombe, visibili in mostra, in varianti e accorgimenti sempre differenti per altri congressi ed eventi, come per le Giornate Mondiali della Gioventù e degli Studenti. Inoltre, fu raffigurata anche in alcune delle sue ceramiche.
L’amico vagabondo divertente
Uno dei dipinti più famosi, conosciuto come “Il bevitore di assenzio”, che dipinse nel 1903, fu venduto all’asta da Sotheby’s, a New York, nel maggio del 1995, comprato dal compositore inglese Sir Andrew Lloyd Webber. Risalente al periodo blu, è il ritratto di uno dei suoi più grandi amici, Angel Fernàndez de Soto, di cui si è sempre detto che fosse un pittore, ma non si hanno certezze sulla sua produzione artistica. Rinomato come persona allegra e festosa, Picasso disse di lui che era un “divertente vagabondo”. I due si incontrarono a Barcellona intorno al 1899, probabilmente al “Concerto del Edén” o al “Els Quatre Gats”, dove condivisero incontri e baldorie. Nella mostra che l’artista spagnolo tenne in quest’ultimo locale nel 1900, c’erano ben tre ritratti de Soto.
Il bevitore di assenzio
L’anno successivo, di ritorno a Parigi, condivise con lui un altro studio a Barcellona, in Riera de Sant Joan 17. Qui, dipinse “La vida” del 1903, in omaggio all’altro amico pittore, Carles Casagemas. Che si era suicidato a Parigi dopo la relazione amorosa con Germaine Gargallo. Ed è probabilmente in quell’atelier che realizzò anche “Il bevitore di assenzio”. Un ritratto del suo coinquilino e della bevanda a cui all’epoca venivano attribuiti effetti allucinogeni e creativi. Conxa Rodriguez, autrice della biografia “El Angel de Picasso. Historia de un bebedor de absenta”, del 2003, afferma che “gli piaceva dipingere, ma non scelse la pittura come sfida professionale”.
Ella sottolinea che l’unica opera conosciuta potrebbe essere un acquerello di cipressi che faceva parte del lascito artistico di Picasso a Barcellona. Ora si ritiene che sia stato trovato un dipinto a olio dell’artista. Si tratta di un paesaggio verdeggiante, vicino ad un fiume, e porta la firma di Angel de Soto. L’ultimo contatto con Picasso fu un saluto che gli inviò nel Natale del 1936. In cui gli augurava prosperità per l’anno della “Vittoria 1937” (una frase che indicava la sua fiducia in una rapida vittoria della Repubblica). Ma una notte alla fine del 1937, mentre camminava nei pressi di via Laietana, in una Barcellona oscurata per evitare i bombardamenti, fu investito da una ambulanza militare.

Le fotografie
Infine, l’ultima sezione del percorso espositivo è un piccolo racconto dell’artista e dell’uomo Pablo Picasso. Due fotografi, André Villers (1930-2016) ed Edward Quinn (1920-1997) ne hanno catturato momenti di intimità e di ricerca creativa. In cui emergono altri aspetti della sua vita: la personalità, la famiglia, la maschera, il travestimento e lo studio. Entrambi realizzarono una serie di ritratti fotografici inaspettati e singolari: le sue passioni, ma anche le manie e le ossessioni. Premuroso con i figli, affettuoso con la sua ultima moglie Jacqueline Roque (1926-1986) e amante degli animali con la sua capretta Esmeralda, tanto da essere riprodotta in scultura, ci restituiscono una visione più umana e meno “divinizzata” dell’artista spagnolo.













