
C’è una frase di Baudelaire che recita: “Il tempo si può dimenticare solo servendosene”. Questa sentenza introduce al cuore della mostra time:lapse alla A plus A Gallery di Venezia (28 agosto – 25 ottobre 2025), curata dagli allievi della School for Curatorial Studies Venice. Non è soltanto un motto: è un paradosso che invita a riflettere. Se il tempo si dimentica nell’atto stesso di viverlo, l’arte contemporanea ci rende coscienti di questa dimenticanza, trasformandola in esperienza estetica.
La nostra epoca – che alcuni chiamano tardo-capitalista, altri post-moderna, altri ancora digitale – è caratterizzata da una moltiplicazione dei tempi. Sopravvivono il tempo lineare delle agende, il tempo simultaneo dei social media che sovrappone istanti in un collage globale, e il tempo asincrono dei flussi che ci raggiungono come echi. Ciò che vediamo ricorda la distensio animi medievale, quella tensione dell’anima tra passato, presente e futuro che Sant’Agostino descriveva nelle Confessioni.
La mostra time:lapse traduce queste dimensioni in immagini, suoni, installazioni. Robert Blatt con Book of Hours reinventa il libro di preghiere medievale come dispositivo performativo, dove ogni pagina diventa un frammento di tempo piegato che chiede al lettore di ritmare la propria esperienza. Giovanni Borga con la sua installazione meccanica mette in scena i gesti ossessivi del consumo visivo quotidiano, come un Sisifo contemporaneo che non spinge più la pietra ma scorre instancabilmente lo schermo. Camille Theodet gioca con l’ambiguità affettiva, come se la pittura potesse diventare un termometro del nostro spaesamento emotivo. E il collettivo Raqs Media Collective, da sempre attento alle stratificazioni temporali, costruisce narrazioni in cui il presente somiglia a quello che Jorge Luis Borges immaginava nel Giardino dei sentieri che si biforcano, dove tutti i tempi possibili si realizzano simultaneamente.

I curatori hanno scelto di trasformare parte della galleria in una stazione di ricerca aperta al pubblico, dove si dissolvono le opposizioni classiche tra produttore e consumatore, tra autore e spettatore. Time:lapse non propone solo opere: propone metodi, strumenti, processi, invitandoci a osservare non soltanto il risultato ma la genesi del discorso artistico.
L’esperienza si estende a un programma video che include figure come Iida Jonsson, Orphan Drift, Semiconductor, e una selezione dalla Servais Family Collection. Questa costellazione di immagini non segue una progressione lineare, ma ricorda l’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, dove le immagini accostate creano cortocircuiti temporali e culturali, restituendo una mappa non del tempo cronologico ma del tempo della memoria.

Venezia, con la sua natura sospesa tra acqua e pietra, tra rovina e festa, diventa cornice ideale di questa riflessione. Qui il tempo non è solo misurato ma percepito: scandito dalle maree, stratificato nelle calli, risuonato dalle campane. Forse è per questo che proprio in questa città la riflessione sul tempo acquista una densità particolare: non una teoria astratta ma un’esperienza incarnata.
Time:lapse non è una mostra sul tempo, ma una mostra del tempo: una lezione visiva che ci ricorda come l’arte, lungi dall’essere un lusso, sia uno dei pochi strumenti che abbiamo per orientarci nella complessità cronologica che viviamo. E, per riprendere Calvino nelle sue Lezioni americane, ci insegna che nel tempo contemporaneo la leggerezza non è superficialità, ma un modo per “planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.













