
C’è qualcosa di profondamente vitale nel vedere un gruppo di giovani artisti sporcarsi le mani, respirare la stessa aria, litigare su un blu oltremare o su quanto bianco titanio usare per una luce. Succede a Marghera, nel Padiglione Antares, un ex spazio industriale diventato officina del pensiero visivo grazie alla sesta edizione di “Extra Ordinario”, il workshop dell’Atelier F dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, curato quest’anno solo da Carlo Di Raco e Martino Scavezzon (nelle passate edizioni c’erano anche Daniele Capra e Nico Covrè per la cronaca).
Da fuori sembra un capannone. Dentro, invece, accade ciò che raramente si vede in Italia: una scuola che non si limita a “insegnare arte”, ma che fa arte mentre la pensa. E la pensa mentre la vive. Negli anni, Di Raco e Scavezzon hanno costruito una comunità, non un corso. Un luogo in cui il gesto pittorico non è esercizio ma linguaggio quotidiano, dove l’errore è accolto come un dono e l’incompiuto è una forma di sincerità.
L’Atelier F è la risposta concreta a un sistema dell’arte che spesso predica libertà ma insegna obbedienza. Di Extra Ordinario penso di averne viste tutte le edizioni ed è, per sua natura, un manifesto: un progetto nato nel 2020, in pieno lockdown, quando cento studenti decisero di riappropriarsi del proprio fare, trasformando la paura in un’azione collettiva. È da quella scintilla che oggi continua a bruciare un fuoco di necessità. Camminando tra le opere, si percepisce un ritmo alternato: pittura figurativa e astrazione convivono come due voci che si cercano, si sfidano, si amano. È la generazione del ricambio come la chiamano i due docenti quella che non chiede il permesso per entrare nel sistema dell’arte, ma bussa con il pennello sul muro finché il muro cede.

E sì, è tutto molto veneziano: l’acqua, la nebbia, la luce che filtra da finestre troppo alte, i colori che sembrano sciogliersi in aria. Ma c’è anche qualcosa di universale: l’idea che l’arte sia un modo di pensare con le mani, e che le mani — soprattutto quelle giovani — abbiano ancora molto da dire. Extra Ordinario non è solo una mostra, ma una dichiarazione di metodo. È il tentativo di rispondere a una domanda urgente: come si insegna oggi a fare arte senza sterilizzarne la forza? La risposta è tutta nel suono che riempie il Padiglione Antares: il rumore dei pennelli che battono, dei martelli che fissano, delle voci che discutono.

Ecco il futuro dell’arte, signore e signori: non in una fiera, non in un white cube, ma in un laboratorio a Marghera, dove l’ordinario si fa extra solo perché qualcuno ha deciso di provarci, di credere ancora nella pittura come forma di pensiero.
Fino al 24 ottobre, potete entrare in questo spazio e vedere cosa accade quando la passione incontra la pedagogia, e la pedagogia si trasforma in gesto. Portate rispetto: qui si costruisce qualcosa di raro una comunità che crede ancora che l’arte possa cambiare le persone, e non il contrario.














