
Il vaso in alabastro, alto circa 22 cm, ha rivelato tracce nascoste di morfina, tebaina, noscapina, papaverina e idrocotarnina
Una scoperta sensazionale scuote la nostra idea dell’antico Egitto: un vaso in alabastro conservato al Peabody Museum di Yale ha rivelato residui chimici inequivocabili di oppio. Grazie a uno studio condotto dal Yale Ancient Pharmacology Program (YAPP). Il vaso, alto circa 22 cm, porta iscrizioni quadrilingue – accadico, elamita, persiano ed egiziano – che lo collegano a Serse I, sovrano achemenide. Un’ulteriore iscrizione demotica indica una capienza di circa 1.200 ml.
I ricercatori hanno usato tecniche non distruttive: “swishing” con etanolo caldo per risciacquare l’interno del vaso e prelevare piccolissime tracce nascoste nella pietra, seguite da analisi con gascromatografia e spettrometria di massa. Il risultato: morfina, tebaina, noscapina, papaverina e idrocotarnina – tutti biomarcatori tipici dell’oppio.
Secondo Andrew J. Koh, coordinatore dello studio, queste scoperte suggeriscono che l’uso dell’oppio in Egitto non fosse solo occasionale o limitato a usi medicinali o rituali, ma faceva parte della vita quotidiana di una parte della popolazione. Ma la scoperta si fa ancora più intrigante: il vaso di Yale è costruito in calcite di alabastro, la stessa pietra usata per molti contenitori rinvenuti nella tomba di Tutankhamon. Gli studiosi ipotizzano che anche quei vasi, alcuni ancora sigillati o con residui scuri, potessero contenere opiacei.











