
Mao Xuhui, esponente di spicco dell’arte contemporanea cinese, imposta la sua ricerca pittorica rileggendo, tra l’altro l’ impressionismo, l’espressionismo e l’arte europea
Palazzo Grimani a Venezia ospita la mostra Mao Xuhui: Emergence of the Patriarch. Sono state selezionate quarantatré opere che rileggono cinquant’anni di ricerca pittorica dell’autore. Considerato un protagonista rilevante fra gli artisti della sua generazione, nato nel 1956 nella provincia del Sichuan, la sua carriera è collegata alla nascita dell’arte contemporanea in Cina, in particolare grazie al suo ruolo di cofondatore del Southwestern Art Research Group di Kunming e alla partecipazione al movimento ’85 New Wave, indice della svolta decisiva nella scena pittorica del Paese.
Cézanne e gli altri
Osservando le immagini delle sue opere, colpisce Drawing of Guishan. Risaltano sia la spigolosità terrosa degli agglomerati rocciosi sia l’azzurro intenso del cielo schermato dall’intreccio dei rami. Un evidente rimando alla poetica di Cézanne, la cui pittura cerca la realtà allontanandosi dal vibrato cromatico impressionista. Evita ciò che non è fondamentale perché ciò che vede sono le masse e la dialettica delle luci e delle ombre. Questa comunanza nel farsi creativo, trova conferma in un episodio che vale la pena ricordare.
Un giorno, un insegnante del college di Mao gli comunica che artisti come Repin, autore de I trasportatori di barche del Volga, dal commovente realismo dove gli uomini sembrano crollare in avanti spossati per lo sforzo di trascinare controcorrente una grande barca mentre il caldo imperversa, non venivano in genere inclusi nelle storie dell’arte. Questa affermazione gli causa uno shock che porta Mao a spostare decisamente il suo entusiasmo dagli artisti russi verso l’impressionismo, basti guardare Leader Passed Away per sentire il brusio di Sisley o Looking at Panlong River from Bridge per rievocare il ticchettio luminoso nell’acqua di Monet, e i dipinti di Van Gogh, Gauguin.

E ancora. Al terzo anno di università, Mao prende in prestito dalla biblioteca scolastica “L’uomo, il tempo e la vita”. Il libro, che dedica un’introduzione agli artisti occidentali moderni del XX secolo, gli “distrusse le illusioni”. Mao si rende conto che l’arte non è necessariamente una ricerca di fedeltà o somiglianza. Le introduzioni a Modigliani, Picasso, Léger, Soutine, Rivera, Malevič gli aprirono gli occhi.
Le forbici
Questa consapevolezza lo porta sviluppare l’agire pittorico: un linguaggio carico di tensione emotiva, capace di riflettere l’ambito sociale e culturale della Cina sudoccidentale. Anche se si ispira alla natura morta, ne fa qualcosa di radicalmente diverso. Come nel caso delle forbici. Un manufatto semplice, di uso quotidiano Mao lo trasforma in un simbolo ambiguo legato alle tematiche del controllo e del potere. Ossessivamente presenti nella sua produzione fin dagli anni Novanta, sono strumenti per smembrare l’ambito della politica e del sociale. Ciò che Deleuze definiva Société de contrôle. Sono una sorta di bisturi che mettono a nudo i meccanismi del potere.
Rifiuta totalmente ogni finalità descrittiva per arrivare ad una dimensione concettuale. Questo motivo caratterizza la sua ricerca per un decennio, raggiungendo l’apice nel celebre ciclo Will / Scissors. Come afferma il critico e storico dell’arte Lü Peng, “dal 1978 ai primi decenni del XXI secolo la società cinese ha attraversato trasformazioni profonde e complesse, che hanno coinvolto ogni ambito della vita collettiva. In questo contesto, l’arte di Mao Xuhui rappresenta una chiave privilegiata per comprendere tali mutamenti: un ponte tra realismo socialista, espressionismo e modernità, capace di raccontare la transizione culturale e spirituale della Cina contemporanea”.

L’emergere del patriarca
Il titolo della mostra allude a una delle serie più dense e complesse dell’artista: Patriarch. L’artista non si limita ad un semplice racconto della figura paterna. Ma opta per la rievocazione ricorrendo a configurazioni geometriche, ovoidali in qualche caso, viste come schegge taglienti preistoriche che emergono da uno sfondo dalle tonalità cupe, azzurrate a supporto di pennellate in superficie grumose biancastre che richiamano frammenti onirici oppressivi. Nel patriarca, metafora di una struttura gerarchica, Mao vede dualità ambivalenti: rispetto e conflitto, soggezione e resistenza, che si intrecciano in una pittura che assume una funzione critica.
Non mancano poi le incursioni sia nell’informale, che tuttavia mantengono schegge corporee come in White Corporeal, sia nel ritratto. In Portrait No.3 un ossificato inverosimile volto appuntito mette in risalto un naso allungato, un orecchio dilatato, labbra cadenti mediante pennellate intense decise rese con strisciate cromatiche: dal nero al grigio al viola.
Mao Xuhui: Emergence of the Patriarch.
Museo di Palazzo Grimani – Venezia
Curatori: Lü Peng, Li Guohua, Carlotta Scarpa
Fino al 1° febbraio 2026













