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Orazio e Artemisia. Un rapporto burrascoso

Orazio Gentileschi, Mosè salvato dalle acque, 1633 Olio su tela, 241x281 cm Madrid, Museo Nacional del Prado Orazio Gentileschi, Mosè salvato dalle acque, 1633 Olio su tela, 241x281 cm Madrid, Museo Nacional del Prado
Orazio Gentileschi, Mosè salvato dalle acque, 1633 Olio su tela, 241x281 cm Madrid, Museo Nacional del Prado
Orazio Gentileschi, Mosè salvato dalle acque, 1633 Olio su tela, 241×281 cm Madrid, Museo Nacional del Prado
In occasione della mostra torinese su Orazio Gentileschi, un approfondimento nella vita privata sua e della celebre figlia

Due grandi pittori, padre e figlia. Ciascuno con un proprio percorso di vita e di lavoro, spesso in conflitto. Due personalità particolari, tra le maggiori del Seicento. Come andavano le cose tra loro? Cerchiamo di capirlo attraverso documenti, atti di processo, lettere, memorie storiche. Che Orazio Gentileschi fosse un tipo lunatico, burbero, irritabile, lo dicono i contemporanei. Scrive Giovanni Baglione nella biografia del collega: “Se Horazio Gentileschi fosse stato di humore più pratticabile, avrebbe fatto assai gran profitto nella virtù, ma più nel bestiale che nell’umano egli dava”. Non era il solo a descriverlo come un tipo collerico, geloso e in competizione con la figlia, precoce e bravissima pittrice.

Incompatibili, eppure legati dallo stretto vincolo famigliare. Orazio, vedovo della moglie Prudenza, morta di parto nel 1605, doveva tirare su quattro figli, tre maschi e una femmina. Artemisia, la ragazza, era stata l’unica a seguirlo nella pittura, apprendista precoce nella bottega paterna. Una casa romana in via Margutta descritta in ogni dettaglio dal garzone Nicola Bedino, nel famoso processo del 1612 intentato da Orazio contro il pittore Agostino Tassi per lo stupro della figlia: una stanza in basso, due al primo piano, in una si cucinava, nell’altra si dipingeva e sopra ancora due stanze per dormire, con le finestre sulla strada.

 

Artemisia Gentileschi, Susanna and the elders, 1610, oil on canvas, 170 x 119 cm Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönborn credit : akg-images / MPortfolio /
Artemisia Gentileschi, Susanna and the elders, 1610, oil on canvas, 170 x 119 cm Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönborn credit : akg-images / MPortfolio /

Lì in quella stanza dove si dipingeva, Artemisia posa nuda per il padre, in mancanza di modelle: “[…] il padre l’haveva trovata da maritare e non l’haveva voluta maritare e quando faceva qualche ritratto nudo la faceva spogliar nuda e la ritraeva e che gli piaceva che c’andassero le genti a vederla e dicevano che non era zitella [vergine]…”, aveva dichiarato un testimone nello stesso processo. Un padre padrone che la teneva segregata in casa per gelosia e la “usava come moglie“, come afferma Tassi nello stesso processo. Ma lo dirà la stessa Artemisia: “vuole usare meco a punto come se li fosse moglie”.

Eccellente pittrice

Desideri inconfessabili, maturati già prima, quando Orazio dipingeva con Tassi, nel 1611-1612, l’affresco con il Concerto musicale con Apollo e le Muse nel Casino delle Muse in Palazzo Pallavicini Rospigliosi e aveva ritratto la figlia in una delle Muse. Non era solo il padre a desiderare la figlia, ma Tassi, e tutta una serie di faccendieri e brutti figuri che frequentavano la casa. Nomi e vicende che vengono fuori durante il processo prima citato, i cui atti sono stati pubblicati nel 1981. Artemisia era bellissima, vivace, ribelle. In quelle stanze, dense di vita, dove arrivava anche il fumo della minestra, fa il suo primo capolavoro, la tela con Susanna e i vecchioni (Pommersfelden, collezione Graf von Schönborn) del 1610, firmato “ARTEMITIA/GENTILESCHI F/1610”.

 

Orazio Gentileschi: Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, Ex J P Getty Museum
Orazio Gentileschi: Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, Ex J P Getty Museum

Nata nel 1593, ha solo diciassette anni ed ha forse quel corpo morbido dipinto, ispirato anche alla scultura greca e romana. Dietro Susanna, i vecchioni molestatori, in cui la critica ha immaginato riflessi autobiografici della stessa Artemisia. Orazio è certamente infastidito dal comportamento della figlia, molto libera, di cui si parla nelle botteghe di colori di Campo Marzio, tra i garzoni e gli ammiratori delusi, che la descrivono come una “madonna di bordello”, “sfrenata e di cattiva vita”. Alla fine del processo, Tassi viene condannato per lo stupro, ma la reputazione di Artemisia è compromessa. Orazio se ne preoccupa per tempo e riesce a farla assumere alla corte medicea di Firenze, descrivendola come eccellente pittrice in una lettera del 3 luglio 1612 alla granduchessa Cristina di Lorena.

Comincia un altro periodo di vita per Artemisia, che a Firenze si afferma, riscattandosi come donna e pittrice. Entra nel milieu intellettuale fiorentino e fa carriera sino all’iscrizione il 19 luglio 1616 all’Accademia del Disegno. L’ingresso nella prestigiosa istituzione, ambita da ogni artista, era un grande onore che poche donne avevano avuto. Giocavano a suo favore la fama di pittrice precoce, le amicizie con Galileo Galilei, Michelangelo Buonarroti il Giovane, Cristofano Allori, Giorgio Vasari il Giovane, molto stimato a corte. E le commissioni prestigiose come la realizzazione dell’Inclinazione, da porre sul soffitto di Casa Buonarroti, dove si trova ancora oggi. E, non ultimo, il fatto di essere nipote di Aurelio Lomi, pittore affermato e già console dell’Accademia del Disegno.

 

Artemisia Gentileschi, Cristo e la Samaritana al pozzo, 1637, olio su tela, 267,5×206 cm
“Non ha disegno”

Tra un figlio e l’altro, Artemisia si accultura, va a cavallo, si ritrae come una raffinata nobildonna fiorentina, corteggiata. Il padre Orazio invece peregrina tra piccole corti delle Marche e collezionisti per avere commissioni, mentre desidererebbe entrare al servizio di un principe importante. Le parti si invertono: ora è Artemisia a garantire per il padre.

È lei stessa a perorare la causa di Orazio presso il segretario dei Medici Andrea Cioli, che il 16 marzo 1615 scrive all’ambasciatore a Roma Piero Guicciardini: “Si è sparso qua una voce quasi publica ch’il s.r Horazio Lomi de’ Gentileschi sia uno de i più eccellenti et famosi Pittori, che si trovino oggi in [Roma], il che vien qui tanto più facilmente creduto in considerazione dell’opere che nella medesima professione si veggono della s.ra Artemisia sua figliola”. La risposta è decisamente negativa, nessuna assunzione per Orazio, che “non ha disegno”, non sa comporre storie né una figura sola e ha altri difetti, come dicono gli ambasciatori ducali a Roma e vari esperti.

 

Orazio Gentileschi, La Felicità pubblica trionfante sui pericoli, 1625-1626 Olio su tela, 267x170 cm Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures
Orazio Gentileschi, La Felicità pubblica trionfante sui pericoli, 1625-1626 Olio su tela, 267×170 cm Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures

Ma non tutto va liscio neppure per Artemisia, che a Firenze colleziona debiti con i fornitori e con il granduca. E soprattutto ha un grande amore extraconiugale con il giovane aristocratico, Francesco Maria Maringhi. Un amore destinato a durare, con il beneplacito del marito Stiattesi, come rivela un corpus di 36 lettere autografe scritte al nobiluomo, dall’inverno 1617/18 al 12 settembre 1620, dai due Stiattesi, ventidue da Artemisia e quattordici dal marito. Le lettere, pubblicate nel 2011 raccontano la passione della possessiva pittrice, la sua gelosia e vita.

Liti furibonde

Lo scandalo a Firenze per Artemisia e il marito “cornuto” era troppo grande. Così nel febbraio del 1620 la pittrice con il coniuge, dopo una lettera di commiato al granduca il 10 del mese, fugge a cavallo verso Roma. Una cavalcata tra la neve e un arrivo in una nuova casa preparato con l’aiuto finanziario di Maringhi. Ed è a questo punto che le tensioni, già forti con Orazio, degenerano in liti furibonde. Artemisia non è più la ragazzina stuprata, ma una “pittora” indipendente, stimata dai granduchi e famosa al di là delle Alpi, ricercata anche a Roma.

Orazio, che non dimentica le umiliazioni subite durante la causa per stupro, e il minore successo avuto sino allora rispetto alla figlia, non tollera il nuovo libertinaggio di Artemisia e tanto meno i debiti fiorentini con bottegai e con il granduca, da cui la pittrice ha già avuto 50 ducati per due quadri ancora da finire. Comincia così un fitto carteggio tra i due coniugi Stiattesi e Maringhi. Con la richiesta al nobiluomo di mandare con urgenza a Roma le casse con i quadri da finire e gli arredi per la casa, che tardano ad arrivare.

 

Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 - Napoli, c. 1652) CLEOPATRA olio su tela, cm 70x75 Stima € 130.000/150.000
Artemisia Gentileschi, Cleopatra, olio su tela, cm 70×75

Scoppiano liti furibonde tra Artemisia e il padre, che emergono dalle lettere come quella, che il 27 marzo 1620 Pierantonio Stiattesi scrive all’amante della moglie: “Stamattina, che siamo di sabato, finalmente Artemisia et io l’aviamo rotta chon il Signor Orazio suo padre per senpre, ed è venuta alle brutte bene et io sono entrato per terzo e finalmente mi ha detto a me che non vole mai più mettere piede in casa nostra, e questo ho caro e più perché è finita. Di grazia, Vostra Signoria veda in tutte le maniere di operare che noi aviamo quello che chiediamo per potere mettere la nostra casa all’ordine, sì per fare schizzare gli occhi al suocero, come ancho per dare a di vedere che mentre Artimisia stava in Fiorenza non stava come una donna ordinaria, perché il suocero non crede costì abbia niente”.

I rapporti tra padre e figlia rimarranno freddi, anche se non mancheranno contatti e interessamento, come la lettera inviata il 15 gennaio 1624 da Artemisia al padre a Genova attraverso Antonio Sauli e la visita a Londra ad Orazio malato nel 1638, prima della morte l’11 febbraio 1639 (stile fiorentino). In compenso, Artemisia non avrà nulla dell’eredità paterna che passerà solo ai tre figli maschi.

Maurizia Tazartes, Artemisia “tintora romana”, Sillabe, Livorno 2013.
M. Tazartes, Artemisia Gentileschi, Skira, Milano 2016.
M. Tazartes, Orazio Gentileschi “Astratto e superbo toscano”, Mauro Pagliai Editore, Firenze, 2016.
Maurizia Tazartes, Tra pittura e bordello. La vera vita di Agostino Tassi, Mauro Pagliai Editore, Firenze, 2017.

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