
Giuseppe Tornatore gioca spesso con la storia di Cucinelli per cercare, e mostrarci, il germoglio di chi ha costruito un impero
Quando s’incontra un essere straordinario è lecito chiedersi quali siano le cose che lo rendono diverso ai nostri occhi rispetto alla massa. Deve essere stato questo uno dei primi pensieri del regista Giuseppe Tornatore nell’approcciare il magma, incandescente, della fortissima personalità di Brunello Cucinelli, forse il più importante degli “artisti” del filato High End. La seconda questione, soprattutto per i profani, è comprendere bene che dietro al re del cachemire c’è semplicemente un uomo che nutre da sempre una scintilla che nella parola “garbo” nasconde delle virtù nate lontane nel tempo.
Tornatore, con coscienza, percorre una parabola cinematograficamente istrionica e in questo film, com’è accaduto per “Ennio” (dedicato al maestro Ennio Morricone), si serve di svariate tecniche di regia. Gioca con il documentario vero e proprio, donandoci anche lampi e sequenze di un cinema che sa di seppiato. Ma che riesce ad essere straordinariamente moderno. Ci stupisce con certi fondali immensi, magistralmente ricoperti da libri, o da animali che si accoccolano all’anima di un uomo. Oppure dalle mille luci accese di un campo che come le stelle sussurrano che siamo anche tanto altro.
Tutto, visivamente e narrativamente, sembra incastrato ad arte per farci destare dalle nebbie di una visione ottusa e ristretta. Qui si riconoscono molti meriti a Tornatore che ci mette sicuramente del mestiere ma lo fa decisamente con grande intelligenza.
La dignità
Ma a volte basta una sola parola per descrivere un uomo e Giuseppe Tornatore gioca spesso con la storia di Cucinelli per cercare, e mostrarci, il germoglio di chi ha costruito un impero grazie ad una delle qualità più in disuso e invisa al capitalismo, la dignità. C’è un motivo forte nel film che ritorna a onde, ed è il rivelarsi del pensiero interiore del protagonista. Che si espande cronologicamente e mostra, direi dimostra, a tutti noi che ciò che ci avvicina al successo non è quanto riusciamo a trattenere, ma tutte le cose che lasciamo agli altri.

Per produrre qualcosa di valore secondo Cucinelli non basta provare, bisogna indossare direttamente; che sia un capo di alta sartoria o definire quali siano i nostri sentimenti più profondi. Esempio emblematico di questa persuasione, il suo cercare con ogni fibra del corpo di sostituire la paura con un sentimento più nobile. Dismettendo quella, rassegnata, del padre che lavora in fabbrica. Per indossare e donare agli altri la speranza che un altro modo più dignitoso, non è solo possibile ma anche necessario.
Tornatore intavola con lo spettatore una partita fatta di occhiate interiori. Dove il soggetto è Cucinelli nelle varie fasi della sua esistenza, anche se a pensarci ci siamo pure noi in quel palcoscenico. È facile rivedersi e ritrovare l’empatica eco di alcune epopee dell’arte che non abbiamo mai dimenticato. Perché l’uomo dal nulla che progredisce, fino a veder sbocciare i propri talenti, è un leitmotiv che guarda di fatto lo specchio della nostra vita.
È d’obbligo chiudere ricordando che anche Cucinelli nel corso del film gioca una partita, a carte, con un antagonista che scopriremo solo alla fine della storia. Questo gioco, vero e metaforico allo stesso tempo, è il sottile modo con il quale Giuseppe Tornatore ci fa un ulteriore regalo. Confidandoci sottovoce che gli anni e l’esercizio possono mostrarci la via della virtù e che la vittoria è solo una delle tante carte di un gioco bellissimo.












