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“Coscienza del proprio ruolo”. Clemen Parrocchetti in mostra a Firenze

Clemen Parrocchetti, Lamento del Sesso, 1974 Clemen Parrocchetti, Lamento del Sesso, 1974
Clemen Parrocchetti, Lamento del Sesso, 1974
Clemen Parrocchetti, Lamento del Sesso, 1974
Oltre cento opere tra dipinti, disegni, sculture, arazzi, documenti e materiali d’archivio per la mostra di Parrocchetti a Palazzo Medici Riccardi

Ultime settimane per visitare l’omaggio che Palazzo Medici Riccardi rende a Clemen Parrocchetti (Milano 1923 – 2016), autrice del Novecento che ha saputo indagare la complessità della sfera femminile, delle relazioni affettive e della sessualità, sfidando la visione dominante di una cultura patriarcale. La mostra, promossa dalla Città Metropolitana di Firenze, nasce da un progetto del Museo Novecento ed è organizzata dalla Fondazione MUS.E in collaborazione con l’Archivio Clemen Parrocchetti.

Ironia Ribelle, a cura di Marco Scotini e Stefania Rispoli, con la direzione artistica di Sergio Risaliti, riunisce fino al 6 gennaio 2026 oltre cento opere tra dipinti, disegni, sculture, arazzi, documenti e materiali d’archivio, restituendo la figura di un’artista anticonformista, che ha saputo unire ricerca estetica e militanza politica.

 

Clemen Parrocchetti, Senza Titolo, 1969 ©Tiberio Sorvillo
Clemen Parrocchetti, Senza Titolo, 1969 ©Tiberio Sorvillo

L’esposizione racconta, in un’occasione imperdibile, grazie ad un’istituzione museale sensibile ai temi femministi, la vicenda di un’autrice che, come definisce Risaliti, “ha saputo attraversare il proprio tempo in dialogo con le trasformazioni della società e del movimento femminista, coniugando rivendicazioni sacrosante a un’ironia affilata. Parrocchetti ha saputo appropriarsi di linguaggi storicamente dominati dal verbo maschile – dal Surrealismo alla Pop Art, dall’Assemblage all’Arte Povera – per rovesciarne i codici, introducendo una poetica gioiosa e ribelle che parla ancora al presente”.

Ribaltare gli stereotipi

Parrocchetti negli anni della contestazione, sa ribaltare gli stereotipi sul femminile, affronta la questione di genere a suo modo, la donna che è sempre stata musa, sposa, madre, angelo del focolare, viene rappresentata usando il suo “saper fare”. Con i materiali tessili e scampoli di merceria, spilli, aghi, forbici e spolette, si producono opere, che diventano oggetti giocosi, coloratissimi e ironici, racconti originali che sostengono la militanza rivoluzionaria, specchio della biografia dell’artista. Gli strumenti domestici sono il mezzo per urlare il bisogno di libertà ed emancipazione.

 

Clemen Parrocchetti, Grido di Liberazione. Urlo verso la speranza, 1978
Clemen Parrocchetti, Grido di Liberazione. Urlo verso la speranza, 1978

Il percorso si apre con la serie Amore e divorazione, presentata per la prima volta nel 1969, in cui l’artista mette in scena un’esplosione di corpi scomposti, mascheroni grotteschi, bocche e vagine coloratissime. La pittura più cupa degli esordi si sviluppa in queste tele che traducono la carica contestataria del Sessantotto in un linguaggio esuberante e provocatorio, a volte sadico ed estremamente popular.

La serie dei Trofei solari introduce un vocabolario più astratto e festoso, attraversato ancora da tensioni tra gioco e violenza, al limite dell’espressionismo, come nell’opera-manifesto Promemoria per un oggetto di cultura femminile (1973), che segna l’avvicinamento al Movimento di Liberazione della Donna e trasforma il cucito, simbolo del lavoro domestico femminile, in strumento di lotta e autocoscienza.

 

Clemen Parrocchetti, Trofeo_Solare, 1972
Clemen Parrocchetti, Trofeo_Solare, 1972

La sezione centrale della mostra è dedicata agli “oggetti di cultura femminile”, opere ready-made esposte per la prima volta a Milano nel 1975 e a Pavia l’anno successivo. Questi manufatti dialogano con il pensiero marxista femminista di Silvia Federici, Leopoldina Fortunati e Mariarosa Dalla Costa con le battaglie del collettivo Wages for Housework, trasformando la casa in un campo di lotta politica e per la prima volta riuniti dopo anni in questa mostra.

Atavico dualismo

Sono convinta che non sia possibile una completa rivoluzione sociale se prima le donne non abbiano raggiunto una vera coscienza del proprio ruolo”, scriveva in quegli anni l’artista. Il 1978 è un anno cruciale per Parrocchetti che entra nel Gruppo Immagine di Varese, accanto a Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Mariuccia Secol e Mariagrazia Sironi. Con loro, partecipa al convegno Donna Arte e Società, da cui nasce il documento collettivo Vogliamo, Vo(g)liamo, e alla Biennale di Venezia, dove presenta uno dei suoi primi arazzi nell’ambito di un environment collettivo. In mostra Metamorfosi di una processione (1978), Sveglia!! È ora (1978), e Macchina delle frustrazioni (1975), legata al tema dell’aborto, come tema di affermazione dei diritti e della libera scelta sul proprio corpo.

 

Ritratto di Clemen Parrocchetti, Milano, Casa Lionel Pasquon
Ritratto di Clemen Parrocchetti, Milano, Casa Lionel Pasquon

Alla fine degli anni Settanta le opere di Parrocchetti iniziano a occupare lo spazio in modo nuovo e fanno uso di materiali diversi, come la juta, ne nasce un’installazione, BARRIERE, una serie di triangoli rovesciati e attraversabili che esplorano metaforicamente l’aspetto più erotico del corpo femminile. Gli anni Ottanta e Novanta, sono segnati da arazzi, installazioni e lavori su carta cucita che assumono la forma di diari visivi su cui confluiscono testi, poesie, frammenti autobiografici e materiali leggeri come tulle, paillettes e organza, fra ironia, estetica e moda. Anche nel suo autoritratto, l’opera Io Micol, l’artista si raffigura insieme al suo cane, suggerendo un’identità aperta e non gerarchica tra essere umano e animale, ironia e autodeterminazione.

Svolta eco-femminista

La parte più sorprendente dell’allestimento è costituita dai disegni di pulci, blatte, pidocchi e meduse, insieme a sculture cucite che riproducono tarme su brandelli di tessuto. Le opere parlano della svolta eco-femminista dell’artista della fine degli anni Novanta, concentrata sul fascino e la consistenza dei corpi d’insetti e parassiti domestici. È l’atavico dualismo del maschile sul femminile, il dominio patriarcale e lo sfruttamento della natura, sottolineando l’urgenza di ripensare le relazioni tra i sessi e tra gli esseri viventi e l’ambiente. In questo, quanta modernità e quanta preveggenza sui temi dell’arte contemporanea!

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