“Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, levato il sipario e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte e senza scena, quasi bujo e vuoto, perché fin da principio abbiano l’impressione di uno spettacolo non preparato”.
Una voce fuori campo legge la didascalia e apre le porte – o meglio il sipario – sui “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, in scena fino al 15 febbraio al Teatro Elfo Puccini di Milano.
Gabriele Lavia, oltre a fare ritorno nelle vesti del Padre, già impersonato nel ’93, firma la regia di questi Sei personaggi “in cerca di un autore, uno qualunque” che possa scrivere e portare sul palcoscenico il loro dramma.
“E’ il testo di teatro più importante di tutti i tempi” – ha affermato Lavia. “L’opera teatrale che non ha paragoni. Unica nella concezione, nella struttura, nell’argomento”.
E’ l’opera che ha cambiato la storia del teatro, talmente rivoluzionaria da non essere capita dai contemporanei dell’autore che vedendola in scena nel 1921 al Teatro Vella di Roma urlarono a Pirandello di andarsene al manicomio, lanciandogli monetine. E’ l’opera che porta lo spettatore nel dietro le quinte di uno spettacolo, che gli fa vivere l’allestimento, la routine quotidiana di una compagnia teatrale, interrotta bruscamente dall’arrivo inaspettato dei sei personaggi e della loro intricata e drammatica storia.
Attenendosi all’edizione del ’21, con qualche passo preso dal riadattamento del ’25 e alcune annotazioni aggiunte come fossero battute, Lavia compie un lavoro filologico sul testo, nel pieno rispetto dell’originale, cercando di portare in scena l’integrità del complesso pensiero pirandelliano, racchiuso in una pièce scritta in soli tre giorni. Anzi – racconta Lavia in un’intervista – “in tre mattine, perché al pomeriggio lavorava a Ciascuno a modo suo“.
Accanto a Lavia, nel ruolo della figliastra, che nel ’93 per la regia di Missiroli impersonava Monica Guerritore (moglie di Lavia), troviamo in questa versione la loro figlia, Lucia Lavia. Agguerrita, carica di enfasi, Lucia Lavia si muove su e giù dal palco come una trottola, fino a bloccarsi, nella scena clou nel retrobottega si Madama Pace, quando a pronunciare quel “Buongiorno signorina” è la voce del primo marito di sua madre, interpretata quest’ultima da Rosy Bonfiglio. Scritta analfabeta da Pirandello, è una sua nenia siciliana ad esprimere angosciosamente le sue pene. E il pathos aumenta in quell’urlo, prima silenzioso, poi straziante, della donna chinata difronte alla squallida scena, braccia levate al cielo come la Maddalena del Masaccio ai piedi della Crocifissione.
Calato nel suo ruolo e padrone della scena, Gabriele Lavia nei panni del padre entra nella psiche del personaggio che impersona. Deciso a voler vedere rappresentato il suo dramma e il dramma personale di ognuno dei famigliari, nel rispetto di tutti i dettagli dell’accaduto, imbarazzato dagli avvenimenti nelle stanze di Madama Pace, contorto nei ragionamenti filosofici pirandelliani, non manca di regalare qualche risata al pubblico, smorzando i toni di una recitazione enfatizzata.
A non tradire l’ironia dell’autore, il gruppo di attori, capitanati dal divertente capocomico – come lo chiama il Padre – Carlo Sciaccaluga. Artefatti e borghesi, smaniosi di primeggiare e di dare una loro interpretazione del dramma che imperversa negli animi dei personaggi, gli attori danno voce al messaggio di Pirandello: quell’impossibilità di far corrispondere il teatro alla realtà. Perché quell’angoscia reale, nata dalla fantasia dell’autore, non potrà mai essere altrettanto vera nelle esasperazioni recitative di chi abita il palcoscenico.
costumi Andrea Viotti
e con Massimiliano Aceti, Silvia Biancalana, Alessandro Baldinotti, Daniele Biagini, Rosy Bonfiglio, Maria Laura Caselli, Michele Demaria, Giulia Gallone, Giovanna Guida, Lucia Lavia, Andrea Macaluso, Luca Mascolo, Mario Pietramala, Marta Pizzigallo, Matteo Ramundo, Malvina Ruggiano, Alessio Sardelli, Carlo Sciaccaluga, Anna Scola