Una vera e propria piramide di sessanta figurine scolpite in un unico pezzo di marmo di Carrara, alto quasi due metri: La caduta degli angeli ribelli dello scultore padovano Agostino Fasolato si trova al centro della sala di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza. Nel gruppo scultoreo è rappresentato il combattimento tra l’esercito del bene e quello del male, comandati rispettivamente dall’arcangelo Michele e da Satana, così come raccontato nell’Apocalisse di Giovanni.
Al vertice della piramide sta Michele, con la spada sguainata e lo scudo legato al polso con inciso QVIS UT DEVS. Di fronte a lui, con i piedi appoggiati sulla base della composizione, Satana è voltato di schiena: tiene nella destra il forcone a due punte e con la sinistra punta l’indice verso l’alto in direzione del suo avversario. Tra i due protagonisti del combattimento è rappresentata la moltitudine degli angeli ribelli scacciati dal paradiso, e quindi divenuti essi stessi diavoli, tra i quali si muovono altre mostruose creature demoniache in forma di serpenti e draghi.
La più antica segnalazione dell’opera si deve a Giovan Battista Rossetti che, nella sua Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova del 1765, la segnalava tra le maggiori attrazioni della città: il visitatore non doveva infatti mancare di ammirare La caduta degli angeli ribelli di “Agostin Fasolato Scultor Padovano… lavoro per dir vero stupendo, non tentato né pure dall’antica Grecia”. Il gruppo “cavato da un pezzo di marmo di Carrara di sessanta figure a piramide” si conservava allora nel palazzo dei conti Trento, collocato in uno dei saloni di rappresentanza affrescato da un discepolo e collaboratore di Giambattista Tiepolo, Francesco Zugno. Secondo le fonti il marmo era stato commissionato dal conte Marc’Antonio Trento (1704-1785), balì del Sovrano Militare Ordine di Malta nonché socio di varie accademie patavine.
Nel 1805 Francesco e Alessandro Papafava dei Carraresi acquistavano il palazzo dalla loro prozia Faustina Papafava, vedova di Decio Trento (1724-1805), ultimo discendente di questa famiglia, e con esso anche la scultura di Fasolato. Nel 1972 il gruppo passava dai discendenti Papafava alle collezioni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e quindi, nel 2003, a quelle del Gruppo Sanpaolo IMI, oggi Intesa Sanpaolo.
La prodigiosa maestria tecnica esibita nel gruppo continuerà a rimanere fonte di meraviglia per tutto l’Ottocento, ben al di là dell’ambito delle glorie artistiche locali. Il filosofo e teologo Antonio Rosmini ne scriveva a più riprese nella sua corrispondenza privata (a partire dal 1817); Leopoldo Cicognara gli dedicava ampio spazio nella sua Storia della scultura (ed. 1818 e 1824) chiedendosi “con quali ingegnosi e ricurvi ferri si giungesse per ogni verso dallo scultore a traforare e condurre quel marmo…”; Herman Melville, l’autore di Moby Dick in visita a Padova nel 1857, l’anno seguente ne faceva l’oggetto di una conferenza a Cincinnati.
Alla fama del gruppo scultoreo, non corrisponde tuttavia quella del suo autore, del quale oggi si sa molto poco: due scultori con questo nome, operosi negli stessi anni, sono registrati nella Fraglia padovana dei tagliapietra e, sulla scorta della biografia di Napoleone Pietrucci, l’autore della scultura sarebbe da identificare con l’Agostino figlio di Vincenzo e Orazia Piesti, nato a Padova il 27 giugno 1714 e ancora vivente nel 1787. Non c’è invece alcuna certezza dell’identità di tale artista con l’Agostino al quale altri documenti assegnano lavori di intaglio per le chiese del territorio padovano: nel 1752 per il coro della Basilica del Santo, nel 1755 e nel 1760-61 per gli altari del Duomo di Montagnana.
È invece Cicognara a dare notizia di altre due opere che ai suoi tempi erano assegnate allo stesso Agostino Fasolato che aveva scolpito La caduta degli angeli ribelli: un secondo gruppo del quale non è specificato il soggetto, anch’esso commissionato dal balì Marc’Antonio Trento per farne dono al Gran Maestro di Malta ma andato perduto “predato dai barbareschi” durante il viaggio per mare, e un Ratto delle Sabine composto da sei figure allora conservato nella collezione padovana di palazzo Maldura: di quest’ultimo, che verso il 1957 si trovava nelle collezioni di Villa Emo di Battaglia Terme, si conosce una vecchia riproduzione fotografica ma non l’attuale ubicazione. Sulla base di queste poche opere, gli sono stati recentemente attribuiti altri tre gruppi già considerati dagli studi opera di Francesco Bertos (1679-1741).
Le composizioni di Agostino Fasolato, infatti, hanno una stretta relazione con quelle di Bertos, artista nato e morto a Dolo, che deve essere considerato il suo maestro. Bertos si era specializzato in sculture in marmo e bronzo analogamente composte da più figure collocate a piramide e collezionate dall’aristocrazia veneta dell’epoca.
Con La caduta degli angeli ribelli Fasolato portava alle estreme conseguenze il genere di opere rese famose dal Bertos e, evidentemente, aveva voluto superare il maestro progettando un gruppo di sessanta figure laddove quelli del primo non avevano mai superato le dodici.