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Rembrandt/Bacon

LA CARNE E LO SPETTRO DELLA MORTE
IN REMBRANDT E BACON


Francis Bacon, Figure with Meat 1954
Rembrandt Van Rhijn, il Bue Squartato 1655

Una carcassa di bue sventrato emerge dal buio che la circonda all’interno di un magazzino. La scena è realistica e allo stesso tempo priva di ogni espediente narrativo. Questo è il motivo che rende “Il Bue Squartato” (1655), una delle nature morte più sorprendenti della storia dell’arte. Rembrandt osserva quello che una volta era un animale forte e vigoroso e che ora è privo di vita, trasformato in una massa di carne sanguigna.

Dal sedicesimo secolo in poi l’arte olandese propone con una certa frequenza immagini di animali squartati, Isaac van Ostade, ad esempio preferiva rappresentare i maiali, ma Rembrandt sceglie proprio questo tema per creare una grande opera d’arte. A differenza dei suoi contemporanei egli priva la scena di ogni connotazione di genere, non rivela nessun particolare superfluo, la carne è lì, cruda ed esposta allo sguardo, in essa la morte è asettica proprio come nella “Lezione di anatomia del dottor Tulp”. Non si può dire che si tratti di una scena di vita quotidiana in senso stretto, piuttosto è una natura morta resa sublime dalla luce in cui è immersa. L’atmosfera luminosa e dorata contrasta con il buio sullo sfondo come se la luce emanasse direttamente dalla carcassa. L’applicazione del colore in ampie e spesse pennellate, con le successive aggiunte di vernici trasparenti, aumenta la profondità e la solennità della scena. Il genio fiammingo sembra inseguire la traiettoria della luce che si irradia dal centro per individuare la testa di una donna che si affaccia in una porta sul fondo, lasciando trapelare un barlume di speranza grazie alla sua presenza viva e alla luce dorata che la trasfigura.

 

Avere gli occhi non significa saper guardare, la verità spesso è dissimulata come nell’esecuzione del suo quadro più celebre :“ La Ronda di Notte” ; il dipinto commissionato per la sede della gilda di Amsterdam, contiene al suo interno una cinquantina di misteri che negli anni i critici hanno invano provato a interpretare. Per vedere bisogna imparare a guardare, e la “Ronda” è un atto di accusa contro la società del suo tempo proprio perché dissimulata nel suo contrario, un semplice ritratto di milizia di ambientazione notturna. Ma lo spettro della morte è già lì, incombente, pronto a calare su uno dei personaggi ritratti, caro amico dell’artista e vittima di un complotto.

 

Pagherà cara questa denuncia, Rembrandt già ricco e famoso improvvisamente va in rovina e diventa quasi cieco. La società olandese punisce l’uomo che ha rotto le regole della comunità e che si è permesso di criticare e di deridere la loro capacità di essere nel giusto, che ha messo in luce i loro crimini morali mettendoli sotto accusa in un dipinto che doveva rappresentarli ufficialmente. E’ costretto a ridimensionare la tela , tagliando la scena ai lati e impedendo per sempre la soluzione del mistero. Ma non perde la sua lucidità, l’obiettività di chi guarda in faccia la morte senza compromessi.

 

Svuotata di qualsiasi sostanza immaginaria la morte passa nella realtà più banale, assume per l’artista il volto del principio stesso di razionalità che domina i primi passi della Scienza, in quelle lezioni di Anatomia dove il professore mostra agli studenti incuriositi o inorriditi i segreti e i misteri della carne, finalmente solo carne, materia, oggetto di studio.

 

Molta acqua passa sotto i ponti tra l’epoca dell’artista olandese e  quella di Francis Bacon, nato in Irlanda da genitori inglesi. Il “sublime” non è più idealizzato in qualcosa di superiore ma di inferiore, di sub-umano. La scoperta dell’inconscio getta una luce oscura sull’anima, mostra la sua degradazione, il cedimento agli impulsi, il suo tormento senza riscatto. Non a caso uno dei suoi amici più intimi è Lucian Freud, come lui pittore e nipote del grande e controverso Sigmund. Nella sua pittura Bacon trae alla luce gli abissi sgradevoli, a volte disgustosi, della psiche umana con un’intensità da incubo. E’ un errore definirla figurativa perché Bacon chiama in causa la figura solo per toglierle valore, per avvilirla e disfarla. La realtà non è più spirituale, è corrotta. L’artista inglese  si allontana deliberatamente  dalle linee di ricerca dell’arte moderna per ricollegarsi ai vertici raggiunti dai grandi maestri del passato: Velazquéz e Rembrandt sono i due poli attraverso cui si  ri–in-scrive il tracciato della storia… da una parte la luce , dall’altra il buio.

 

Ogni cosa non è rappresentata ma s-figurata.. a esse Bacon restituisce un altra forma: il delirio, il grottesco, la deformità. Tutti i suoi soggetti, quando non sono presi dalla realtà, sono tratti da fotografie famose, dai giornali, o anche in alcuni casi da fotografie mediche e raggi X, per essere poi crudelmente stravolti. La pittura del diciassettesimo secolo non è assunta come modello ma come oggetto di critica. Nella serie di sei dipinti ispirati al ritratto di Innocenzo X di Velazquéz, Bacon ci mostra ciò che il genio spagnolo non poteva fare senza sfidare le convenzioni della ritrattistica ufficiale. Ci mostra il punto a cui sarebbe arrivato Velazquéz se fosse stato libero di farlo.

 

Nella carne di Rembrandt, corrotta nella sua sostanza dalla luce, Bacon trova la prova del fatto che la nostra esistenza è fisica perché la carne ci riporta alla natura, quella natura che per Rembrandt era guidata da un ordine simbolico che ci sovrasta e che per Bacon è sottoposta alla paura e al desiderio e ai limiti umani che guidano questa consapevolezza. Di fatto però, Bacon si limita a esagerare e appesantire i motivi pittorici dell’originale, illustra con fredda e spietata lucidità gli effetti della luce offrendo alla vista la mostruosità della carne e la deformazione del corpo del papa da cui sembra sia stata estratta l’anima, preso da  un atroce e sfigurante  convulsione.

 

Nell’epoca moderna la rappresentazione del mondo non può pretendere di essere vera, naturale, ma implica un’arte del rilancio calcolato del simulacro: questa  è la contraddizione insita nell’opera di Bacon. Da un lato l’adozione di una tecnica pittorica di altissima qualità formale, dall’altro l’artificio di un uso del colore capace di rendere lo strazio della soggettività, dai viola acidi, ai rossi sanguinosi mescolati a tinte di un magma scuro e marcescente. Il suo stato psicologico oscuro si riflette anche nella composizione delle figure sospese in uno spazio a cui sembra essere stata tolta l’aria, dove il corpo è distorto e deformato dall’azione coercitiva e torturatrice dell’ambiente, al limite della mutazione antropologica e genetica.

 

Il sublime del nostro tempo è in realtà il contrario del sublime, è l’infame,  è la lucida constatazione della realtà a confronto con le più alte espressioni ideali che Bacon non idealizza perché in preda a un’epidemia spirituale che si propaga nell’oscura psicosi delle sue visioni, incarnazione dei suoi torbidi umori e del suo eterno fermento pittorico.

Maya Pacifico

Bacon, autoritratto 1971


Bacon, portrait 1952


Rembrandt, autoritratto 1659


Rembrandt, bue macellato 1643

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