I dipinti rubati nella più grande rapina americana sono tornati a riempire loro cornici grazie alla realtà aumentata. Attraverso la magia della tecnologia, un’innovativa start-up è riuscita dove l’FBI aveva fallito.
Nonostante i migliori sforzi dell’FBI, il museo Isabella Stewart Gardner di Boston è ancora senza alcune delle gemme della sua collezione, rubate in uno dei più famigerati furti d’arte del mondo nel 1990. Ma se gli investigatori non sono riusciti a recuperare i lavori, un’azienda tecnologica locale potrebbe aver trovato la soluzione migliore: usare la realtà aumentata per restituire i dipinti persi al museo, almeno virtualmente.
In onore del 18 marzo, anniversario del furto, Cuseum, una start-up con sede a Boston dedicata all’utilizzo della tecnologia per migliorare l’esperienza dei visitatori al museo, ha svelato “Hacking the Heist”, una nuova app di realtà aumentata. L’idea dell’app è semplice: basta tenere la fotocamera dello smartphone sulle cornici vuote -ancora appese alle pareti di Gardner- e improvvisamente i dipinti appariranno al loro posto.
“Quando abbiamo iniziato a lavorare in modo più approfondito con l’ARKit di Apple e la realtà aumentata, uno dei miei colleghi ha detto: non sarebbe interessante riportare l’arte rubata nei telai dell’Isabella Stewart Gardner Museum?“. Il fondatore e CEO di Cuseum, Brendan Ciecko, ha dichiarato ad artnet News: “Quando visiti oggi la Gardner, molte persone non realizzano che c’è stata una rapina, e non hanno idea di come fossero le opere rubate”.
Attraverso l’innovativa app, è possibile camminare tra le opere e ammirare attraverso lo schermo le opere che mancano, e non è Pokémon Go e non è un videogioco: è cultura, è arte, qualcosa che ha un significato più profondo.
Attualmente l’app include solo Cristo nella tempesta sul Mare di Galilea di Rembrandt van Rijn e Una signora e gentiluomo in nero, ma ci sono piani per estenderne la portata. Tra i 13 capolavori rubati quella notte -per un totale di 500 milioni di dollari– vi sono anche le tele di Edgar Degas e Édouard Manet, così come il concerto di Johannes Vermeer.
Il mese scorso, uno dei primi sospettati del “furto Gardner”, Robert Gentile, è stato condannato a 11 mesi di reclusione dopo essersi dichiarato colpevole di accuse non collegate al furto riguardanti armi federali. Gentile è considerato l’ultima persona vivente connessa alla rapina, ma l’uomo ha smentito tutte le accuse circa il possesso di informazioni che potrebbero portare al recupero delle opere. Il museo offre attualmente una ricompensa di 10 milioni di dollari per informazioni che possano aiutare a decifrare questo caso vecchio di decenni.
“Hacking the Heist”, invece, è stato un lavoro di punta: Ciecko si è reso conto solo venerdì 16 marzo che mancassero solo due giorni al 28° anniversario di questa rapina progettata meticolosamente.
“Abbiamo messo insieme un prototipo molto veloce per vedere se il rilevamento della superficie verticale, le condizioni di illuminazione e se le misure approssimative delle opere fossero accurati e potessero essere sovrapposti al telaio in maniera stabile”, ha detto Ciecko, che era al Gardner per testare l’app solo un giorno prima che fosse lanciata.
Il Gardner Museum non è stato coinvolto nello sviluppo dell’app, ma Ciecko spera che l’istituzione sarà aperta a condividere “Hacking the Heist” con i suoi visitatori convinto che ci sia “una grande opportunità per ispirare i bambini delle scuole pubbliche di Boston e le persone interessate alle arti e scienze”.
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