Fino all’8 dicembre si potrà visitare la mostra Carosello. Pubblicità e televisione presso la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, alle porte di Parma. Un’intervista al curatore Dario Cimorelli che racconta la costruzione di un sistema produttivo, vent’anni di spettacolo che hanno influenzato una nazione.
Perché una mostra su Carosello, una mostra su vent’anni di narrazione pubblicitaria?
Questa mostra si presenta come la seconda puntata dell’esposizione realizzata nell’autunno del 2017, sempre alla Fondazione Magnani Rocca, sulla storia della pubblicità, dalle origini fino al cinquantasette escluso, periodo in cui la televisione non aveva ancora fatto la sua comparsa. Quindi l’obiettivo della mostra Carosello. Pubblicità e televisione è di raccontare quello che succede dopo, con l’avvento della televisione. Ma essendo l’Italia l’unico paese al mondo che ha costruito, sulla pubblicità televisiva, un modello che è durato vent’anni con caratteristiche uniche rispetto ad altri paesi, abbiamo pensato di limitare l’indagine proprio a questo arco temporale: 1957 – 1977. Anche perché subito dopo quella data cambia nuovamente tutto. In nessuna altra parte del mondo è esistita una rubrica pubblicitaria all’interno del palinsesto. Oggi, ad esempio, assistiamo alla libertà di introdurre gli inserti pubblicitari nella programmazione, spezzettandola ed interrompendola. Quella di Carosello è un’esperienza che non si è mai più ripetuta.
Cosa fa di Carosello qualcosa di unico e com’è stata possibile questa esperienza?
Le ragioni della creazione di questo unicum sono legate a tre motivi che si vanno a comporre. Il primo è che l’Italia storicamente subisce molto l’influenza della chiesa che vedeva il modello consumistico come una grande minaccia e premeva affinché la pubblicità fosse confinata in uno spazio ridotto. Dall’altra parte la sinistra percepiva la pubblicità come una banalizzazione, guardandola con diffidenza e quindi premeva perché avesse un ruolo marginale e infine la democrazia cristiana, che cercava consenso tra i principali attori dell’economia italiana, contingenta la pubblicità televisiva evitando importanti trasferimenti di risorse dai tradizionali media verso la televisione, garantendo ai grandi editori dei rotocalchi, Rizzoli, Mondadori, Rusconi, di mantenere intatto il loro mercato. Unendo questi tre fattori nasce questa rubrica televisiva, che prevede quattro quinti di ogni inserto pubblicitario dedicati allo spettacolo e un quinto dedicato alla vera e propria pubblicità. Lo spettacolo non doveva essere ripetuto più di una volta, in questo modo nasce la necessità di costruire dei serial, creando un’affezione da parte dello spettatore. Nei vent’anni di Carosello, vengono prodotti trentamila spettacoli, costruendo un strutturata industria della produzione, all’interno della quale vengono creati dei generi, sia coinvolgendo personaggi dello spettacolo, attori, cantanti, sia producendo vera e propria animazione che riesce ad unire ad unire due necessità, quella di comunicare ai bambini,che possono influenzare la propensione all’acquisto dei genitori,e quella di poter pilotare con maggiore facilità, rispetto all’utilizzo di attori, le scelte della produzione.
La prima volta che abbiamo parlato insieme di Carosello, hai paragonato questa macchina molto complessa ad una pentola a pressione, perché?
Esatto, una grande pentola a pressione perché, in qualche modo, questo sistema blocca tutto e allo stesso tempo crea tantissimo, ad esempio un numero di illustratoriche non ha precedenti, Carosello diventa una palestra per attori e registi, diventa una piattaforma per sperimentare linguaggi e, rispetto a quello che succederà dopo, con l’arrivo delle televisioni locali, è ancora un mondo in cui l’idea prevale su un sistema costruito su indagini di mercato. C’è ancora molta esperienza sul campo, paragonabile a quella degli illustratori che lavoravano sui manifesti.
In tutto questo il catalogo della mostra diventa uno strumento aggiuntivo, uno strumento di ricerca e di approfondimento che scandisce questi vent’anni “bloccati”, ma felicemente attivi.
L’altro tema della mostra era capire come raccontare Carosello. La gran parte della pubblicistica relativa a Carosello lavora su due registri, uno sull’amarcord e l’altro sull’aneddotica. A questi due filoni si è aggiunta una serie di analisi di storici della pubblicità che hanno studiato questo unicum, quindi una riflessione anche sul mezzo televisivo e sull’impatto che ha avuto rispetto agli altri medium. Invece rimango piuttosto rare le analisi sulla storia del linguaggio di Carosello. Una persona che ha dedicato molti studi a quest’ultimo aspetto è stato Omar Calabrese. Quindi ho pensato di ripubblicare un lungo saggio uscito nel 1975 che ripercorre Carosello e il suo linguaggio, a questo ho affiancato un altro testo di Calabrese, del 1985, dedicato ad Armando Testa.Inoltre ho chiesto a Emanuel Grossi, esperto di video pubblicitari con cui abbiamo costruito la programmazione dei tredici schermi presenti in mostra, di scrivere tre saggi, uno dedicato al rapporto tra Carosello e il cinema, un altro che indagasse il rapporto con la musica e uno dedicato all’animazione. Proprio sull’animazione abbiamo proposto due approfondimenti, uno su Pino Pascalidi cui si è occupato Roberto Lacarbonara e l’altro sulla scuola modenese di cui si è occupato Stefano Bulgarelli.
Ho voluto che il libro fosse diviso in due registri, uno testuale, nella parte superiore, e uno visivo, nella parte inferiore, perché il lettore possa procedere mantenendo un parallelismo che credo indispensabile.Inoltre il catalogo presenta molte cose che in mostra non ci sono, come ad esempio le pubblicità di tutte le case di produzione e naturalmente offre maggiore spazio alla parte grafica rispetto a quella televisiva, non era possibile diversamente. Ma abbiamo inserito anche dei fotogrammi in modo che il quadro fosse completo e potesse restituire tutta la complessità del racconto.
La mostra Carosello. Pubblicità e televisione è l’occasione per capire un paese, parte della propria storia, per capire una narrazione, o meglio, la creazione di una narrazione collettiva, popolare, capillare. È l’occasione per studiare un linguaggio che unisce pubblicità, televisione, grafica, per studiare una palestra produttiva di cui ancora percepiamo, in maniera evidente, l’eredità creativa e culturale.