Certe cose possono accadere solo nella magica metropoli del cibo (quale? Indovinate un po’). Si dà il caso, infatti, che in zona Porta Venezia, a soli sette mesi dall’inaugurazione, un panifcio-laboratorio-pizzeria si guadagni di gran carriera il premio Tre Pani e il premio speciale Pane dell’Anno del Gambero Rosso (20 giugno 2019); passano altri tre mesi, ed ecco ancora i Tre Spicchi, sempre del GR, per la pizza a degustazione, così da diventare l’unico locale in Italia ad aver ricevuto entrambi i riconoscimenti. Stiamo ovviamente parlando del “Crosta” di Milano, partito nel dicembre 2018 e dopo un anno già arrivato in qualche luogo da qualche parte.
Avendo come nocchieri il panificatore Giovanni Mineo e il pizzaiolo Simone Lombardi: il primo è un barbuto siciliano che, vagamente, sembra incarnare il daydreamer alternativo, un personaggio portato sulle scene da attori del calibro di Carlo Verdone e Corrado Guzzanti. Somiglianza ingannevole, dato che il Mineo oggi s’affaccia alla maturità con argomenti più che solidi alle spalle: impara l’arte della panificazione da Davide Longoni, poi per due anni è panificatore nel laboratorio-panificio all’interno del carcere di Alessandria. Dopo aver gestito per due anni il progetto Pane e Libertà della cooperativa Pausa Caffé, torna dal suo maestro, Davide Longoni, per collaborare nel laboratorio di Milano dove resta per un anno. Successivamente viene chiamato da Giuseppe Zen per creare e gestire la linea del Panificio Italiano. È docente presso la scuola di cucina Food Genius Academy e presso la Cucinoteca. Dal dicembre 2018 è qui da Crosta, per proporre le sue cinque tipologie di pane (grano tenero, eretico, grano duro, bidì, pane di segale integrale), prodotte con grani italiani di filiera macinati a pietra. I pani hanno tutti una nota distintiva leggermente acida, dovuta alla spontanea e controllata fermentazione del lievito madre. Questo è quanto, per quel che attiene alla narrativa e alla tecnica: ma il versante di varia umanità presenta ancora sorprese.
Giovanni Mineo, uno studente d’ingegneria che un po’ di anni fa si trova a scegliere la via della panificazione: suona strano, no?
È successo tutto per gradi, senza brusche svolte. Mi è sempre piaciuto studiare, ma per guadagnarmi qualcosa ho cominciato con qualche lavoretto al ristorante. A un certo punto ho capito che il percorso già scritto dell’ingegnere non poteva bastarmi, e mi sono allargato al campo dell’intervento manuale sulle cose, che mi attrae tantissimo da sempre: alla scuola del panettiere Davide Longoni ho scoperto il mio mondo, vale a dire quanta ricerca, quanta cultura, quanta spiritualità si possano respirare in un laboratorio che sforna il pane. Per come mi stanno andando le cose, mi sembra proprio di aver avuto la giusta intuizione.
Un’altra intuizione è stato l’insegnamento nel carcere: com’è andata?
Un’esperienza indimenticabile, che mi ha lasciato dentro una sorta di pace interiore. Quando devi confrontarti con persone che, letteralmente, non hanno più nulla, e che comunque trovano le energie per tirare avanti, pensi per forza alla futilità delle tue lamentele quotidiane.
Torniamo ora alla tecnica: come si fa a metter le mani sulle migliori farine?
La migliore delle tecniche è conoscere le persone, ed osservare, anzi studiare in che modo lavorino, con quale passione, con quale rispetto della terra. Tutto questo vale più di mille certificazioni biologiche, che a me interessano poco, perché conta la conoscenza a livello personale, il rapporto che instauro con i miei fornitori: io cerco di capire quali siano le reali motivazioni degli agricoltori e dei molitori. Il nostro mestiere, quello del dar da mangiare alle persone, è incredibilmente delicato: devi essere spinto dall’altruismo, devi voler fare del bene agli altri. Nell’impresa dove io voglio vivere e lavorare conta prima di tutto lo stare insieme, il condividere. Il profitto viene dopo.
Questo vale per il pane, ma anche per la pizza, un altro dei successi di Crosta, giusto?
In realtà la pizza dovrebbe essere spiegata da Simone Lombardi, collega e amico fraterno, che ha pure la sua bella storia da raccontare: parte giovanissimo dai “Tigli”, a San Bonifacio (VR), sotto la guida di Simone Padoan. All’esperienza nelle pizzerie affianca quella nelle cucine, lavorando presso l’Hostaria dall’Orso di Gualtiero Marchesi, poi da Bruno Cingolani del Dulcis Vitis di Alba (CN), e infine nel 2011 apre a Città del Messico il ristorante La Cantinetta del Becco. Dal 2013 al 2018 è alla guida del forno di Dry Cocktails & Pizza di Milano,: una pizzeria contemporanea unita a un cocktail bar. In questi anni conquista: il Premio Innovazione 2014 del Gruppo Horeca e 1 Stella Foodies Gambero Rosso, il titolo di Miglior Pizzeria dell’anno ai Barwards 2015, il Golosario 2015 nella categoria Pizzerie, 3 Spicchi Gambero Rosso nel 2015, 2016, 2017, 2018 e il tredicesimo posto nella guida 50 top pizza sulle migliori pizzerie del mondo. Quel che posso dire io è che la materia prima rappresenta l’inizio e la fine di ogni discorso, vale per la pizza come per il pane, e con la pizza è ancora più complicato perché devi avere il tempo e la curiosità per trovare tutti gli ingredienti giusti: il basilico più balsamico, il fiordilatte più equilibrato, la pancetta più delicata, come quella che trova sulla pizza che le ho fatto portare.
Qui da Crosta, nel regno di Giovanni Mineo e Simone Lombardi, sarà difficile trovarsi di fronte ad esercizi complicati di mero esotismo: tutti i loro prodotti devono rimanere semplici da assaggiare e da ricordare, e basta dare un’occhiata al menù delle pizze per convincersene. Se prendiamo proprio le più elaborate troveremo quella farcita con maionese al rafano e porchetta, o magari con hummus, guacamole e paprika affumicata, o ancora con patate schiacciate, pesto Rossi di Genova e scquacquerone; ma il loro bel posto al centro ce l’hanno anche quelle che ostentano una semplicità orgogliosa (solopasta e burrofuso, solopasta e lardo stagionato, solopasta e guacamole), a cui si può aggiungere una guarnizione di salumi selezionati o di acciughe del Mar Cantabrico.
Tutto questo raccontino, fra il bucolico e l’avventuroso, serve a ricordare ai milanesi che possono dirsi fortunati, perché la magica metropoli del cibo continua ad accogliere artigiani un po’ insoliti, ispirati da una filosofia che val la pena di conoscere. Non si pentirà, la metropoli, di aver ospitato due personaggi avventurosi come Giovanni Mineo e Simone Lombardi, che sembrano avere ancora tantissimo da investire, in termini di passione agricola e gastronomica.