La scultura poetico-concettuale di Luca Monterastelli è ospitata a Napoli dalla Galleria Lia Rumma. Weightless, che inaugura il 5 marzo 2020, si configura come una ricerca attorno ad una serie di dicotomie come quella tra gravità e leggerezza.
Non c’era forse città migliore di Napoli per ospitare la personale dello scultore Luca Monterastelli (Forlimpopoli, 1983). In Weightless l’artista concentra la sua ricerca nello spazio in tensione tra ciò che ha un peso e ciò che non lo ha, tra ciò che ha consistenza e ciò che invece potrebbe librarsi in aria al primo soffio di vento. Ecco dunque che la doppia natura della città partenopea, con le sue vuote cavità sotterranee – costruite dai Greci e utilizzate come acquedotti fino alle soglie del ‘900, poi reinventate come rifugio da 270.000 cittadini durante la seconda guerra mondiale – e l’agglomerato urbano che denso cresce sopra di esse, si allinea perfettamente alla poetica dell’esposizione.
È così che giovedì 5 Marzo 2020 la Galleria Lia Rumma inaugura Weightless, lasciando spazio a Monterastelli di proporre opere la cui poliedricità dei materiali – gesso, terracotta, cemento, ferro, ecc – riflettono il potenziale metaforico di trasformazione che ognuno di essi racchiude.
Il peso, la trasferibilità della nostra energia su un corpo oggettuale, la percezione delle tre dimensioni, il rapporto tra superficie e massa
Come spiega l’artista stesso la sua arte analizza le proprietà del materiale nella sua complessità, successivamente lo decostruisce per ricomporlo in una forma che porti con sè una nuova tensione narrativa.
Voglio parlare di come funziona la memoria, della genesi della narrazione e della sua puntuale corruzione. D’altronde, Napoli sembra essere il luogo giusto per questo progetto: è una città piena di fantasmi e i fantasmi sono versi della storia. E, nel particolare, i versi di questa storia sono scanditi così.
Si passa allora da una serie di bassorilievi in cemento armato montati a parete su cui l’artista ha disegnato o inciso fragili e poetiche forme organiche, quasi dei fossili, a una stele di ferro incisa dal plasma del fuoco, con la materia rappresa mano a mano che colava; dalle terrecotte bianche disposte su tre cavalletti dove si ricorda l’amore, l’abuso e il potere a quelle che rappresentano tre nudi virili posti su altrettanti troni “dorati”.
Queste ultime sono posizionate nell’ultima stanza, dove da una delle pareti sbucano quattro tubi in ferro incisi dal plasma del fuoco (come la stele) che provengono dall’altro lato del muro della prima stanza dei bassorilievi. Questo semplice ma ingegnoso espediente rafforza l’idea di una circolarità inesausta, dove avviene un continuo passaggio dal greve al leggero, dalla gravità alla leggerezza, dal pieno al vuoto, dal tutto al nulla.