Mentre in America, a seguito dell’uccisione di George Floyd a Minneapolis continua la protesta #blacklivesmatters e in Inghilterra, a Bristol, cade nel fiume la statua del mercante di schiavi Edward Colston, in Italia il collettivo femminista Non una di meno e la Rete Studenti Milano versa della vernice rossa lavabile sulla statua del giornalista Indro Montanelli (Milano, Giardini di Via Palestro), ora più che mai (ancora una volta) nell’occhio del ciclone per avere sposato una dodicenne eritrea durante l’esperienza giovanile di soldato in Abissinia. A fare da eco all’ultimo avvenimento italiano, lo street artist Ozmone che ieri, lunedì 15 giugno, ha eretto un monumento proprio a Fatima-Destà (la sposa-bambina) in via Torino a Milano.
In risposta alla petizione lanciata da Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala e fra le altre cose giornalista presso l’Internazionale, l’artista Ozmone omaggia la sposa bambina Fatima-Destà. L’articolo della Scego sull’Internazionale terminava così: “L’azione di Non una di meno voleva dare peso, con quella vernice rosa, alla sofferenza di quella lontana bambina colonizzata dell’Africa orientale e con lei a tutte le bambine che soffrono di abusi sessuali più o meno legalizzati nel mondo. Sarebbe bello che qualcuno, che sia uno street artist o un comune, dedicasse una statua, un disegno, un ricordo a quella bambina lontana. Perché hanno ragione Caleo, Pinto, Fiorletta, Giardini: “Una didascalia non basta”. La richiesta della scrittrice è stata accolta con un’opera di street art intitolata “Monumento in memoria della sposa bambina, in Montanelli”.
L’artista, sul suo profilo Instagram spiega la sua opera, che raffigura “un piedistallo monumentale sul quale si erge idealmente Fatima-Destà, la bambina di 12 anni che Indro Montanelli sposò in Eritrea da soldato […]. La foto raffigura una bambina Eritrea, all’incirca della stessa età di Fatima-Destà, vestita con abiti sgargianti […]. Il viso è coperto da una macchia di colore-mascherina.
Vediamo solamente gli occhi, che ci guardano in modo ambiguo: sono sorridenti o una smorfia di dolore? Pur non escludendo a priori la distruzione dei monumenti, questa opera vuole rispondergli con un gesto artistico, poetico e creativo, perché questo, a mio avviso, è uno degli scopi dell’Arte. L’intento è, come suggertio da Gianni Rodari già nel 1960 e dalla Scego nell’articolo, di ampliare i monumenti esistenti e ridare dignità alla parte lesa e non celebrata. […] vorrei ridare almeno in parte dignità ai deboli, emarginati, violentati e derubati. Immaginarla libera, protagonista, dipinta in un gesto di orgoglio, è la mia dedica a chi, come lei, si trova dalla parte danneggiata e sfruttata della storia”.