Razzismo, ecologismo, femminismo e ingiustizie sociali sono solo alcuni degli elementi cardini affrontati nella mostra Push the Limits curata da Claudia Gioia e Beatrice Merz alla Fondazione Merz, aperta fino al 31 gennaio 2021.
Per prima cosa si attraversa un sipario, una barriera che separa non solo lo spazio fisico della mostra dall’esterno ma che prepara e inizializza lo spettatore alla fruizione delle opere. Perchè lo stesso drappeggio di tessuto dipinto è un’opera: è il modo di Katharina Grosse di attribuire una forma altra al gesto pittorico conferendogli una forma scultorea, performativa e partecipativa. Una volta entrati nello spazio espositivo un’enorme scritta, quasi difficile da leggere, cattura lo sguardo: “pensa a me/pensando a te”, è l’opera di Barbara Kruger, quando mai attuale. Perchè questa azione lieve ha in sè un senso quanto mai attuale: protezione, cura, lontananza. Tutti stati emozionali sperimentati e percepiti con estremo vigore nel periodo di chiusura forzata che abbiamo appena trascorso e che ancora riecheggiano nella quotidianità. E questa percezione attualità dell’opera della Kruger è diffuso per tutta la mostra, anche se la stessa non è nata per raccontare la nostra più recente e sconvolta quotidianità, ma l’esposizione ha una gestazione molto più lontana, la stessa inaugurazione è stata posticipata.
Ogni opera racconta un’urgenza già prima che queste deflagrassero come è accaduto in questo periodo. Così è il video di Bouchra Khalili, Twenty-Two Hours, che ripercorre la storia del Black Panters Party e il loro rapporto con il poeta francese Jean Genet, o l’opera di Jenny Holzer SWORN STATEMENT, una totem a led in cui scorrono testi in cui emergono gli abusi commessi dal personale militare americano. Entrambe queste due opere richiamano immediatamente alla mente quanto accaduto in america dopo l’uccisione di George Perry Floyd, il movimento Black Live Matters e le violenze della polizia americana. Il cubo di filo spinato, una citazione delle opere dell’artista cinetico venezuelano Jesús Rafael Soto, di Mona Hatoum riporta alla mente la violenza con cui certi confini vengono delimitati, e come questi siano sia una barriera fisica per alcuni che una separazione sociale per altri. Percorrendo la mostra gli stimoli e rimandi a tematiche si susseguono senza soluzione di continuità, dal poetico video di Shirin Neshat, alle intime opere di Sophie Calle passando per le ricostruzione di momenti storici compiuta da Carrie Mae Weems, fino all’indagine quasi antropologica e sociale compiuta, in modi totalmente diversi, da Sue Williamson e Cinthia Marcelle.
Al piano interrato, invece, l’installazione sintetica di Pamela Rosenkranz gioca ad evocare artificialmente suoni e colori esotici che richiamano alla mente atmosfere della foresta amazzonica, il tutto però anestetizzato dagli elementi che compongono l’opera stessa, e cioè pacchi di Amazon, l’assistenza vocale Alexa, sedie d’ufficio e luci al led. Una coinvolgente riflessione sullo sfruttamento delle risorse ambientali e sul ruolo delle grandi Corporation nel processo di deterioramento ecologico. Push the Limits è una mostra che spinge lo spettatore a oltrepassare i propri limiti, per riuscire a guardare oltre la coltre nebulosa che confonde e impedisce di vedere ed osservare nella giusta prospettiva la nostra contemporaneità con tutte le sue problematiche.
Push the Limits
Rosa Barba, Sophie Calle, Katharina Grosse, Shilpa Gupta, Mona Hatoum, Jenny Holzer, Emily Jacir, Bouchra Khalili, Barbara Kruger, Cinthia Marcelle, Shirin Neshat, Maria Papadimitriou, Pamela Rosenkranz, Chiharu Shiota, Fiona Tan, Carrie Mae Weems, Sue Williamson
a cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz
7 settembre 2020 – 31 gennaio 2021
Torino, via Limone 24