Se New York è il mondo, Los Angeles è certamente l’America, quel luogo che cattura la nostra immaginazione per non lasciarla più. Una megalopoli nel deserto, un universo a sé, un fertile insieme di idiomi e popoli. C’è chi la chiama La città degli angeli, anche se nessuno riesce a vedere cosa possa avere in comune con i cherubini, scriveva Jack Kerouac, senza dimenticare gli altri illustri personaggi che l’hanno vissuta: Bret Easton Ellis, Francis Scott Fitzgerald e Charles Bukowski.
L’arte a Los Angeles descrive un mondo particolare, tra sperimentazione e pittura, performance estreme e contaminazione con le culture lowbrow alternative. Ha sempre prodotto delle riflessioni complesse, fungendo da polo di attrazione per i creativi provenienti dagli altri Stati. Il clima mite della California rivela una scelta di vita radicalmente differente che influenza il modo della produzione. Negli anni più recenti la città è stata definita la nuova mecca dell’arte contemporanea, dalla prospettiva internazionale e attenta ai nuovi fenomeni culturali. Un modo per comprendere e riflettere sulla sua evoluzione artistica è visibile nella mostra dal titolo, Los Angeles (State of Mind), allestita nelle sale delle Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, museo di Intesa Sanpaolo, in via Toledo 185, a Napoli, curata da Luca Beatrice, fino al 26 settembre 2021. Un coinvolgente percorso di 36 opere provenienti da gallerie e raccolte private italiane e internazionali e dalla collezione Luigi e Peppino Agrati. E’ il racconto di una metropoli attraverso diverse generazioni di artisti che si sono imposti dalla fine degli anni Settanta fino ad oggi.
Ad accogliere i visitatori al piano terra è l’opera Cubweave, di Jim Isermann (1955), in cui fonde la cultura alta e quella bassa, reinterpretando gli oggetti della Pop Art, della Op Art e del Minimalismo, per le esigenze del design contemporaneo. Essa fa parte di una serie di cubi tessili. L’involucro esterno è meticolosamente tessuto a mano e contiene una struttura sottostante di schiuma. Sebbene la forma cubica rimanda al Minimalismo, gli irresistibili effetti sensuali e la tecnica utilizzata evocano un oggetto semplice, ricontestualizzato nello spazio in cui si trova.
Al primo piano i due lavori, Colored People e Fuel Troubles, entrambi del 1973, dell’artista pop Edward Ruscha (1937), sono incentrati sul mondo visivo e quello verbale, tra immagine e parola: il linguaggio è esplorato con ironia nel suo potere evocativo, la scritta combina le due parole del titolo, il carattere magico è enfatizzato dalla realizzazione in prospettiva, oltre che dalla mancanza assoluta di altri elementi. La sua Pop Art è diversa da quella newyorkese, più critica e meno assuefatta all’esaltazione dei media e dei consumi, per una figurazione che spesso rovescia gli stereotipi della cultura West Coast, a cominciare dalla celebre scritta “Hollywood”.
La fotografia che proviene dal mondo della cultura alternativa è il mezzo utilizzato da Chaterine Opie (1961), conosciuta per gli iconici autoritratti, coppie lesbiche nelle loro case, surfisti e giovani giocatori di football. Nella sua serie più recente, Portraits and Landscapes, di cui fa parte Cathy, presente in mostra, ritrae i suoi modelli su sfondi neri in pose accuratamente costruite, dove illuminazione e distacco formale evocano la ritrattistica dei maestri della pittura del XVII secolo.
Anche Eric Wesley (1973),si avvale dello strumento fotografico per la sua indagine artistica. Egli cercò il proprio nome nei motori di ricerca online americani, trovando una moltitudine di personalità. Scaricò le foto dei suoi omonimi e incaricò una azienda cinese di trasformarli in dipinti. Il titolo del suo lavoro è Reputation, e fa riferimento ai servizi come ReputationManagement.com, che regolano il giudizio degli individui su internet. Si configura come una riflessione sul significato contemporaneo della identità online e, date le modalità di esecuzione, pone domande sulla originalità dell’opera.
Il dipinto di Henry Taylor (1958), invece,Ardmore Taylor aka “Mo”,è un ritratto familiare che raffigura il nonno seduto sotto un portico con una pistola e un fucile da caccia, emblemi del suo stile di vita nelle campagne. Nel 1933 l’anziano fu ucciso per essersi rifiutato di raccogliere cotone in una piantagione. E’ una storia drammatica e personale, rappresentativa di tanta gente perseguitata dall’ingiustizia, letta alla luce della cultura contemporanea.
Nel 1972 venne esposta a Documenta 5, acura di Harald Szeemann, Five Car Stude (1969-1972), uno dei tableaux più significativi di Edward Kienholz (1927-1994), che riproduce con evidente espressività una scena di violenza razziale. Connessa proprio a quest’opera è Sawdy, una fotografia serigrafata e retroilluminata, inquadrata parzialmente attraverso il finestrino di una portiera d’auto. L’artista ci mette di fronte all’atrocità che si consuma davanti a noi e a cui non possiamo restare indifferenti.
Los Angeles è la città delle tante doppiezze, centro del conservatorismo politico e culla delle culture alternative trasgressive, insieme di piccoli nuclei etnici, la collina di Hollywood, le ville dei vip a Beverly Hills, le spiagge di Santa Barbara, e dei quartieri violenti dove esplodono le insurrezioni contro la polizia per la discriminazione razziale.
I primi progetti sull’arte attecchirono nel 1957, con l’apertura su North La Cienega Boulevard della Ferus Gallery, che segnò un profondo cambiamento e una consapevolezza per una nuova generazione di artisti tra i venti e i trent’anni provenienti dal mondo dell’underground. Nei successivi mesi della sua storia, la Ferus venne più volte chiusa dalle autorità perché promuoveva materiali indecenti e osceni.
Gli anni Settanta sono il decennio dell’arte concettuale, della Body Art e dell’happening, nelle figure di John Baldessari, docente tra il 1970 e il 1988 al CalArts (California Institute of the Arts), che influenzò tantissimi giovani nati tra gli anni cinquanta e i sessanta, come David Salle(1952), Tony Oursler (1957) e Mike Kelley(1954-2012),presente in questa mostra con l’operaTest Room Containing Multiple Stimuli Known to Elicit Curiosity and Manipulatory Responses (Blonde Bandura Action).
Nel 1980 aprì il MOCA(Museum of Contemporary Art), e nel primo consiglio d’amministrazione facevano parte anche due artisti, Sam Francis(1923-1994), di cui si ammira un dipinto astratto, Untitled, e Robert Irwin1928), che insieme al rinnovato LACMA (Los Angeles County Museum of Art), formarono un vero e proprio polo espositivo incentrato sul contemporaneo.
Proseguendo con il nostro percorso espositivo nelle sale del Palazzo Zevallos, si raggiunge, secondo un ordine cronologico, l’ultimo decennio del XX secolo, che definisce in pieno la complessità dell’arte a Los Angeles, con artisti protagonisti che non “quadrano” e non rientrano nei canoni. Il punto nodale è rappresentato dalla mostra Helter Skelter: L.A. Art in the 1990s,organizzata dal MOCA nel 1992, dove non può sfuggire la potenza del titolo che cita il brano dei Beatles, un pezzo strano per lo stile dei Fab Four con passaggi quasi metal.
Tra gli artisti più rappresentativi e attivi nella scena californiana possiamo osservare: Paul McCarthy(1945),presente con l’opera The Flistones; Manuel Ocampo (1965),trasferitosi dalle Filippine a Los Angeles, in mostra con il dipinto,Adieu,autore di una pittura barocca che riflette sulla commistione tra sacro e profano;Raymond Pettibon (1957), è artefice di ben sette opere, edinterprete degli incubi americani nei suoi disegni in nero che rappresentano gli eroi negativi della controcultura;la pittura acida e simbolica, Untitled, di Lari Pittman(1952) eLynda Benglis(1941), con la videoproiezione On screen, tra le esponenti di spicco del femminismo militante.
Di diversa caratura sono, invece, le opere diJeffrey Vallance(1955), la cui indagine si fa sociale e antropologica in Nixon Library, eEric White(1968), rappresentante della nuova ondata pittorica conosciuta come Pop Surrealism o Low Brow, visibile in Dodge Brothers Business Coupé.
Negli anni Novanta, emergono diversecreatività, un esempio sono le videoinstallazioni e le fotografie diDoug Aitken (1968), presente conRising Sun; la neominimalista Rita McBride(1960),conChairs (Blue),realizzata in vetro di Murano e plastica e, infine, l’astrattista Ingrid Calame(1965), con Peuw-Spushtish orn Shmoo!
La Los Angeles di oggi, invece, guarda soprattutto alla Black Culture, fenomeno che si manifesta in tutta la sua urgenza sociale e costituisce l’asse portante di rinnovamento critico della cultura americana, esemplificata dai disegni, The Woman Who Sold the World e A Full Pound of Ceylon Gold upon Her Crown,di Umar Rashid(1976).
Alla creatività americana hanno guardato con molto interesse i galleristi e i collezionisti dell’ambiente napoletano, trovandovi similitudini e assonanze culturali.Con lo spirito pionieristico che contraddistingue gli operatori culturali di Napoli, la Galleria Lia Rumma espone, Isolation Tank, di Gary Hill(1951), precursore della videoarte;il gallerista Alfonso Artiaco propone due dipinti, But His Eyes Don’t Smilee Piss & Vinegar, caratterizzati da una intensa atmosfera cinematografica di Glen Rubsamen(1957). L’opera, The Dog from Pompei, di Allan McCollum(1944), proveniente dalla collezione Trisorio, nasce direttamente dai siti archeologici di Pompei. Molto particolare il lavoro di James Brown (1951-2020), scomparso tragicamente nel febbraio 2020, che comprende un gruppo di settantasette disegni ispirati al libro,Guida sacra della città di Napoli (1872), che l’artista regalò al suo gallerista Lucio Amelio negli anni Ottanta. Infine, chiude la mostra con Untitled (Carpet),del partenopeo PieroGolia(1974), che da oltre quindici anni ha scelto di vivere a Los Angeles.