Camilla Alberti nasce nel 1994 a Milano, città dove sviluppa il suo percorso di studi presso la NABA. La sua ricerca oscilla fra le presenze fenomeniche dei materiali, conduce alla scoperta di mondi nuovi, ibridi e interspecie, realizzati con fare intimo e tattile ma mai ingenuo, sempre attivo, aperto e curioso.
Abbiamo dialogato con lei, nel suo spazio temporaneo di ricerca e produzione sito presso la milanese Casa degli Artisti, per meglio scoprire i suoi universi e le sue necessità espressive.
Camilla, il tuo studio è carico di oggetti in bilico fra lo scarto e il reperto prezioso. Quale il tuo rapporto con i materiali e il loro esserci che evolve nel tempo?
La trasformazione è fondamentale per tutti quei qualcosa o qualcuno che stanno al mondo. È un processo con cui ho lavorato e continuo a lavorare molto, mi piace che il mio studio ne sia pervaso. Ogni materiale che raccolgo è un frammento di una rovina. Un luogo privo di un proprietario che ne regola i margini, il dentro dal fuori. Attraverso l’abbandono, alle rovine è concesso il lusso di superare il concetto di confine e diventare spazi di costruzione attiva dove organismi differenti tra loro, appartenenti a nicchie biologiche diverse, si relazionano ponendo in dialogo i propri metodi costruttivi e abitativi. Piante, insetti, funghi modificano lo spazio l’uno dell’altro senza sosta, coesistendo.
Una volta portato nello studio, il materiale spesso riposa per mesi nello spazio prima di essere impiegato e durante questo periodo continua a modificarsi. Creo delle cataste di oggetti nel piccolo giardino che ho a disposizione e lascio che la pioggia, il vento, le piante o gli insetti costruiscano nuove forme sulla loro superficie. È capitato anche che durante la fase di “riposo” alcuni materiali, soprattutto il legno, diventassero inutilizzabili proprio a causa dell’intervento troppo incisivo di alcuni insetti, ma il non avere tutto sotto controllo è un esercizio utile e continuo per me. Trovare una radice dalla forma contorta, portarla in studio, iniziare a carteggiarla per poi pensare a come usarla per una scultura e nel frattempo, lasciata in giardino, la forma cambia, sul legno si aprono delle crepe e il pensare a una forma scultorea si trasforma insieme al materiale stesso. Deve trasformarsi con esso.
I tuoi universi travalicano il concetto di genere e specie. Quali mondi propongono?
Mondi in cui l’ibridazione è un obbligo biologico. Ibridi anche nella concezione degli spazi e dei corpi. Abitati da creature abitate a loro volta. Abitanti abitati. Un immaginario fantascientifico che si radica nella tradizione favolistica scalzando i protagonisti dal loro ruolo di salvatori per trovare un nuovo modo di raccontare il mondo attraverso gli occhi dei famigerati mostri. Creature relegate ai margini di una narrazione antropocentrica. Terribili, sconosciute e spaventose, sempre nel mirino dei “salvatori”. A me sono sempre piaciuti i mostri. Sono organismi ibridi per natura, strani, incontrollabili e con una forte determinazione nel perseguire i loro obiettivi, che spesso non coincide con quella dei protagonisti delle favole. Sono coloro attraverso i quali è possibile notare le relazioni e i collegamenti tra corpi, spazi e scale temporali. Sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno oggi. Incarnano alla perfezione i dibattiti sulla coesistenza, sulla necessità di cambiare punto di vista, sull’ibridazione, la metamorfosi, l’animalità, l’estinzione, l’io e il noi, etc.. Da un anno a questa parte i mostri sono gli interpreti della mia ricerca artistica, i protagonisti di una storia che sto pian piano raccontando attraverso un percorso fatto di riflessioni che spesso seguono una trama nel buio.
I mostri nel mio lavoro sono creature dello scioglimento, Unbinding Creatures, organismi estremofili in grado di sciogliere i propri confini corporei per inglobare ciò che gli sta attorno. Privi di un movimento determinato ma continuamente impegnati in un dinamismo che li vede scivolare, rotolare, arrancare sul mondo costruendosi il proprio corpo con ogni spostamento. Abitanti del mondo, abitati a loro volta.
Il rapporto tattile e visivo con i tessuti da te prodotti oscilla fra ricordo e perfezione tecnica. In che modo l’universo tessile entra nella tua vita e come influenza la tua ricerca estetica?
Ci sono in pratica nata nell’universo tessile, anche se ci ho messo anni a capire quante possibilità espressive potesse avere. Mio padre ha un ricamificio da prima che nascessi e tutta la mia famiglia lavora al suo interno. È una piccola azienda che si occupa principalmente di ricami per abbigliamento promozionale. Io sono cresciuta tra il rumore assordate delle macchine da ricamo industriali, fili colorati e l’odore della colla che si usa per bloccare i capi di abbigliamento sul piano di lavoro. Ho sempre trovato ipnotico il movimento dell’ago mentre traccia il disegno sul tessuto, però non ero mai riuscita a capire come poter sviluppare un progetto attraverso questo medium. Probabilmente perché l’estetica e la lavorazione dei ricami promozionali è molto simile e ripetitiva.
Da qualche anno, il ricamificio è diventato anche il mio studio, mi sono appropriata del giardino, di un piccolo soppalco e del banco con gli attrezzi da lavoro. Vivere lo spazio durante l’apertura dell’azienda, mi ha fatto notare la ritualità che le due operaie attivano giorno dopo giorno lavorando in relazione alle macchine. Così è nato il primo progetto, NONOSTANTE, in cui avevo ripreso dall’alto le gestualità ripetute dell’operaia per poi trasformarle in uno schema geometrico, che ho fatto infine ricamare facendo muovere il piano di lavoro della macchina così come aveva fatto l’operaia. Quasi fosse una lettura macchinica di uno spartito di danza.
Il secondo progetto risale al 2019 e sfrutta maggiormente le capacità tecniche della macchina da ricamo, partendo da una ricerca delle diverse lucentezze e opacità dei fili impiegati. Il lavoro è WWW. Worlding Wild Web ed è il frutto di una ricerca effettuata durante una residenza a Trieste, in cui avevo posto in analogia la connessione internet con la connessione biologica che intercorre tra le foreste.
Ho scoperto le tue opere mentre stavi lavorando nello storico edificio milanese sede della Casa degli Artisti; come questo spazio, e le persone che lo attivano, hanno influenzato il tuo fare?
Lavorare in uno spazio tanto ampio mi ha sicuramente permesso di implementare le misure delle sculture e di ragionare sulla relazione tra occhio e dimensione. I corpi scultorei della serie Unbinding Creatures sono divenuti installazioni permettendo all’osservatore di perdersi realmente tra i dettagli della creatura, in un processo di scoperta che mi ha affascinata molto. Un’altra possibilità che Casa degli Artisti mi ha fornito è stata quella di ricevere persone in studio durante il work in progress. Persone anche non direttamente connesse al mondo dell’arte, ma con cui ho iniziato spesso dialoghi o dibattiti relativi ai mostri, alle narrazioni fantascientifiche, alle modalità con cui poter effettuare questo fantomatico “cambio di punto di vista” e tutto ciò mentre lavoravo alle mie sculture che sviluppavano la loro forma in seguito alle riflessioni scaturite.
A quali progetti stai lavorando? Dove è possibile vedere le tue opere?
Attualmente sono in residenza artistica in Austria, a Graz, dove sto approfondendo la ricerca e l’immaginario delle Unbinding Creatures e la prima scultura di questa stessa ricerca è esposto al Plymouth Comtemporary 2021 presso KARST Gallery (UK). Sto anche lavorando a una nuova produzione scultorea, o meglio installativa.
La maggior parte delle opere si trovano suddivise tra i due studi che ho al momento, il mio studio nel ricamificio e quello temporaneo di Casa degli Artisti, ma nei prossimi mesi sarò coinvolta in alcuni progetti espositivi tra i quali: la mostra dei finalisti del Premio Arte Contemporanea di Treviglio; farò parte dell’esposizione riguardante l’avviso pubblico Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere, in cui sono stata selezionata nella Sezione Under 35 (MAECI-DGSP/MiC-DGCC), e mi dedicherò alla restituzione finale dell’opera iniziata a Casa degli Artisti.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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