Sventolano le bandiere di Art Basel sulle rive del Reno. Dai sobborghi al Münster, tornano a sfilare i vessilli della fiera d’arte più importante del mondo. Una gioia che culmina nella parata al vento sul duecentesco Mittlere Brücke, il celebre ponte “vecchio” di Basilea, sintesi e collegamento tra centro storico e centro fieristico. Messe Basel è tirata a lucido, brulica di gente. In moto perpetuo. I taxi e le Bmw di cortesia vanno e vengono senza sosta. Sembra quasi essere tornati a due anni fa. Un grande arcobaleno scorre tra le vetrate avvolgendo la mitologica scritta a caratteri cubitali “Art Basel” sulla Messeplatz. Davanti, le prime performance si agitano per l’apertura (la prima è l’installazione folle e dinamica di Monster Chetwind). Sopra, la voragine a vortice di scaglie della struttura di Herzeg & De Meuron domina il piazzale-salotto. Si fa da sponda dal padiglione centrale allo spazio di Design Miami, qualcuno fila al Centro Covid, altri scappano verso le satelliti Liste e photobasel (o viceversa). Filtra qualche raggio di sole. Si è appena concluso il primo giorno di preview, dalle 11 alle 14 First Choice. Dalle 14 tornelli aperti anche ai Vip “normali” fino alle 20. Domani (22 settembre) la stampa. Dopodomani ancora solo professionisti. Dal 24 al 26 liberi tutti. Ieri il primo assaggio di Unlimited, il mega padiglione limitrofo al cuore espositivo che raccoglie il meglio delle opere “fuori scala” (segue focus dedicato) dove primeggia la Casa di pane di Urs Fischer da 3 milioni di dollari. Stamattina, via alle danze (273 le gallerie da tutto il mondo, 19 le italiane, 4 le sezioni, Art Basel Live per la copertura non-stop in digitale). Prima, però, passaggio d’obbligo in separata sede al controllo Green Pass, con conseguente rilascio del braccialetto certificante. Poi, dentro. La fiera è sempre la prima il mondo. Il livello è altissimo, ma non eccelso. Le persone sono tante, ma non tantissime (aggiornamento 22 settembre: buona partecipazione la mattina, dopo pranzo a scemare fino al deserto della sera, ma poco importa: si è venduto, tanto, l’atmosfera è serena e rilassata). E’ solo il primo giorno, ma sono (legittimamente) lontani i fasti degli anni pre-Covid (ridottissima la presenza americana, praticamente nulla quella orientale). C’è comunque energia (e meno ansia), c’è fermento, ci sono pezzi importanti (alcune cose già viste, ma lo ripetiamo l’importante è esserci e ripartire), ci sono i collezionisti, ci sono curatori e direttori, ci sono le vendite. Si fa moltissimo tramite intermediazione, advisor in loco, spesso con il supporto del virtuale da remoto. Di seguito il meglio di quello che abbiamo visto tra i corridoi, negli stand e non solo. La nostra TOP 25, dall’opera più cara in fiera alla mostra di Cattelan che popola ben tre gallerie, appollaiando piccioni a destra e a manca.
Uno dei più grandi dittici realizzati da Jean-Michel Basquiat: Hardware Store (1983), presentato da Van de Weghe. 40 milioni di dollari (prezzo più alto della fiera) per questo capolavoro di Basquiat visto l’ultima volta in mostra nel 2019 alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi.
Spettacolo a carboncino con apoteosi a collage. Il solo show di Lee Krasner da Kasmin. Sequenza di disegni anni Trenta/Quaranta (150 mila l’uno) che culmina nel collage su lino del 1976 da 2,5 milioni di dollari. Il tutto raccolto in una nuova pubblicazione.
Lo stand (tutto) di David Zwirner con la doppia apoteosi di Neo Rauch del 2010 (in arrivo il 4 novembre una grande mostra nelle sede di New York) e un Robert Ryman storico del 63 dal valore di 28 milioni di dollari, seconda opera più costosa della fiera.
Historical, alla Galerie 1900-2000. Una raffinata sala da museo a tinte verdi (con tanto di vetrine e racconti didascalici) che raccoglie opere ricercatissime con storie, provenienze e riverberi editoriali d’autore. La mostra, curata da Francesco Stocchi, è stata concepita appositamente per l’occasione. Pezzi di Picabia, Man Ray, Duchamp, On Kawara, Tillmans, Mirò, Bellmer. Grandi vendite fin dalle prime battute per uno dei migliori stand di tutta la fiera.
L’eleganza di Luxembourg, accolti da una Contraerea di Pascali del 65 e con pezzi di Richter, Fontana, Balthus. Chicca, bellissima, il Felix Nussbaum del 1931.
Monografica, come tradizione comanda ad Art Basel. Tornabuoni presenta tutto Castellani nella sua decade d’oro: 1958-1968. Pareti cronologiche per uno stand museale con opere che corrono dai 300 mila euro a oltre 3 milioni.
Trittico di figura. Introduce Alice Neel e si propaga il dialogo (intimo e serrato) tra Milton Avery e Paula Rego. Da Victoria Miro.
PARETI:
– Luhring Augustine: Salman Toor, Frank Auerbach, Lygia Clark
– Templon: Kienholz vs Kallat e Wiley
PICCIONI:
Smoke di Maurizio Cattelan: una mostra diffusa per la fiera, divisa tra gli stand di Marian Goodman, Perrotin e Massimo De Carlo.
Sia un Manzoni peloso, un “lavoro trovato in giro”, un olio di Hernan Bas, una instantanea di Nan Goldin o l’insegna identificativa della galleria il piccione c’è (Ghosts, 2021). E guarda, tra l’attonito e lo stupito, il visitatore. Osserva la fauna che circola nei corridoi espositivi. Piaccia o meno, Cattelan è un livello sopra tutti gli altri.
I lavori, unici, composti dai 55 e i 60 pezzi-piccioni (numero che varia a seconda della galleria di riferimento) sono stati tutti venduti per una cifra che si aggira sul milione di euro.
Il Jonas Wood di 3 metri da Edward Tyler Nahem. Oltre 2 milioni richiesti per il pezzo esposto complici anche i 6.5 milioni di dollari raggiunti a maggio da Christie’s.
Tutti in vetrina. Soluzione d’artista per Lia Rumma: lo “0%” di Haim Steinbach impresso su una parete di vetro racchiude l’intero stand. All’interno: Kosuth, Pistoletto, De Dominicis, Spalletti, Mulas, Zorio… l’intera compagine della galleria.
Una preziosa e curata dialettica: lo stand di Nathalie Obadia è una sintesi di mondi inconciliabili. La poesia di Laure Prouvost, Fiona Rae, Martin Barré si fonde con le temperature mediorientali di Sarkis e la notte d’inverno di Shirley Jaffe.
Una sicurezza: il booth di PACE. Sospesi tra Sam Gilliam, Jeff Koons e Calder, sui quali gravitano opere di Pousette-Dart, Barbara Hepworth, Robert Longo, Lee Ufan. 20 vendite nelle prime 3 ore di preview, tra cui il Koons (2 milioni) e una scultura della Hepwort (1.2 mio).
Il Novecento italiano dalla Galleria dello Scudo. Un compendio di storia dell’arte composto da pezzi assoluti di De Chirico, Burri, Scarpitta, Scialoja, Afro e Marca-Relli.
Il Colloquium di Invernizzi: Gunter Umberg e l’arte italiana. L’opera dell’artista tedesco, concepita appositamente per lo stand, diventa il centro gravitazionale del “colloquio” coi nostri Nigro, Ciussi, De Marchi e Scarpitta.
I dialoghi di Vallois sulla moquette blu elettrico: Robert Cottingham con John De Andrea; Rotella e Villeglé con Tinguely.
Perle di Acquavella: Balla, Balthus, Thiebaud, Freud.
La pittura afroamericana da Jack Shainman: Marshall, Odutola, Yiadom-Boakye
Kara Walker da Sikkema Jenkins, che prosegue e si compie idealmente nella bellissima mostra al Kunstmuseum (A Black Hole Is Everything a Star Longs to Be).
Il benvenuto di Gray con un mega Frankenthaler del 70 (sui 3 milioni di dollari) e un Jim Dine del 1961. Sul “retro” svetta un McArthur Binion dello scorso anno che ha la potenza dei decenni precedenti.
Il “classico” stand soffuso di Richard Nagy. Klimt, Schiele e tre pezzi d’eccezione: Moreau, Schad e Otto Dix.
Il focus sulle nature morte di Georges Braque da Bernard Jacobson.
Le “armonie” di Louise Nevelson da Levy Gorvy, riflesso di quelle viste quest’estate in sede a Londra per la mostra “Total Life”.
PITTURA
L’ottima pittura eterogenea e trasversale materializzatasi al primo piano della fiera.
Chiusura in bellezza con il trittico di Bacon della Fondazione Beyeler (In memory of George Dyer, 1971) esposto per la settimana di fiera in omaggio al centenario della nascita di Beyeler. Non è in vendita. Si accede oltrepassando la parete di perline di Felix Gonzales-Torres del 1994.