Lo spettacolo Figli di un Dio ubriaco è arrivato a Genova il ottobre 2021 alla Sala Trionfo del Teatro alla Tosse. Il scena il racconto di vari antieroi che abitano le periferie del mondo.
La bellezza dell’arte non ha età e, soprattutto, non ha tempo. Il che vuol dire che non ha senso circoscrivere un’espressione artistica in un periodo storico come manifestazione di questo. Il bello è bello. Punto. Questa riflessione è stata ampiamente condivisa dall’operazione effettuata dalla nuova coproduzione di Balletto Civile, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano e Teatro Piemonte Europa che ha dato vita allo spettacolo Figli di un Dio ubriaco, in tournèe da mesi, ma che a Genova è arrivato il 7 ottobre 2021 alla Sala Trionfo del Teatro alla Tosse.
Ma in cosa consiste il pregio di questa operazione, senza dubbio vincente, effettuata da queste tre realtà artistiche? Nell’aver compreso che mischiare la musica barocca di Monteverdi (e non solo) ai movimenti danza contemporanea non era né impossibile né irriguardoso, ma che anzi questa splendida unione avrebbe generato magia.
Certamente alle spalle di tutto questo ci sta il grande talento di Michela Lucenti, per altro coreografa per La Traviata di Martone/Gatti recentemente in onda su Rai3, la quale è riuscita come sempre a coniugare il lavoro di 11 attori-danzatori di età compresa tra i 9 e 76 anni a un gruppo di musicisti dal vivo, l’Ensemble Cremona Antiqua, diretto da Antonio Greco e due ottime cantanti liriche quali il soprano Valeria La Grotta e il mezzosoprano Anna Bessi.
Michela Lucenti, parlando del suo spettacolo, aveva fatto riferimento a una riflessione dello storico dell’arte Tommaso Montanari secondo il quale la cultura del ‘600 parla della condizione del corpo moderno: “Il corpo in movimento – dice la Lucenti – è il fulcro del Barocco ed è qui che Balletto Civile trova la sua ispirazione, nel corpo di creature in continuo cambiamento, uno sguardo sulla complessità del mondo, fatto di eroi umani, densi di flussi interiori liberi e inconsapevoli che costituiscono per noi materia di profonda indagine e rappresentano l’orizzonte di una nuova estetica”.
E infatti quello che vediamo in scena è proprio l’espressione dei vari corpi che interpretano gli antieroi delle periferie del mondo. Sul palco è offerta con estremo verismo la quotidianità del mondo, fatta di storie semplici di personaggi alla ricerca di un propria identità. Quattro operai, un dirigente per caso (in quanto il suo sogno era quello di diventare un ballerino da balera), un inserviente di colore, un papà vedovo con figlia, un travestito amante di Shakespeare, un supplente comunista e un nonno ex anarchico sono i protagonisti di una situazione fluida che non richiede narrazione. Tutti si litigano e si amano, eternamente e inevitabilmente divisi fra l’impulso alla cooperazione e l’egoismo, perché così è la vita. I temi pastorali dei Madrigali come per incanto si adeguano all’urgenza di questi personaggi che nelle arie barocche riescono a trovare sia la pace che l’impeto, quando occorre.
Un lavoro che per certi versi ci riporta a quelli di Pippo Del Bono ed Emma Dante in cui dentro c’è di tutto perché tutto ci può stare, con un cast eterogeneo, che sa parlare al pubblico. Un meraviglioso insieme di corpi (e anime) che non si limitano a raccontare la vita, ma che vive in scena, come ha giustamente sottolineato Michela Lucenti, fata intelligente e sensuale, che con la sua bacchetta magica (che non vediamo ma c’è) sa davvero fare miracoli.